Dopo anni Giulio Bossa di Porpetto ritrova la bandiera che il padre nascose prima di essere catturato dai tedeschi
PORPETTO. È stata ritrovata la bandiera del IV Reggimento Genio, nascosta in un rudere a Cefalonia dall’artiere Pietro Bossa, durante il rallestramento dei tedeschi, per non farla cadere nella mani del nemico. A due anni dall’inizio delle ricerche avviate dal figlio Giulio, che vive a Porpetto, gli sforzi sono stati premiati dalla notizia che il drappo era stato ritrovato già qualche anno fa ed è custodito da un prete ortodosso.
Purtroppo a causa delle problematiche legate al Covid, il viaggio di Giulio Bossa a Cefalonia per recuperare il Tricolore del Reggimento è rimandato, ma il suo obiettivo rimane: donare al museo storico del Terzo Reggimento Genio Guastatori di Udine la bandiera a ricordo di uomo che credeva nel valori di Patria e libertà. «Sono molto contento: mio padre ora sa che la bandiera del suo reggimento non è caduta in mani nemiche».
È una storia straordinaria quella di Pietro Bossa classe 1923, iniziata a San Bartolomeo di Chiusa nel gennaio 1943, quando viene arruolato e assegnato al III° Reggimento Genio per i complementi C. A. alpini. Il 7 aprile viene trasferito al IV° Reggimento Genio 31° Compagnia Artieri della Divisione di Fanteria “Acqui”. Il 3 luglio viene trasferito nell’Isola di Cefalonia. A fine settembre 1943, viene fatto prigioniero dai tedeschi: nella concitazione del momento della cattura, un ufficiale lo incarica di nascondere la bandiera del IV° Reggimento tra le macerie di una casa, per evitare che cada in mano nemica. Lui esegue.
Catturato dai tedeschi viene portato assieme ai compagni in località Troianata: tutti pensano sia un campo di concentramento. All’improvviso il micidiale fuoco di mitragliatrici, inizia a falciarli. Pietro, colpito alla gamba sinistra, si accascia e viene sepolto dai corpi dei compagni colpiti a morte. Per due giorni resta sotto quei corpi, infine, pur con la gamba ferita, riesce a liberarsi e fuggire con l’aiuto di alcuni greci.
La fuga dura poco: viene di nuovo catturato il 17 novembre insieme ad altri soldati e imbarcato sulla motonave “Ardena” con destinazione Grecia. In mare la motonave finisce in un campo di mine vaganti e affonda. Pochissimi i superstiti, tra cui Pietro che, a bordo di una scialuppa, andando alla deriva per giorni, approdano su una spiaggia. Pensano di essere salvi, ma vengono individuati e nuovamente catturati dai tedeschi e internati in un campo di concentramento. Assieme a un prigioniero calabrese nel corso di un bombardamento aereo, riescono a fuggire. Sperduti si dirigono a Nord, dove si imbattono nei partigiani che li mettono in guardia sulla presenza degli Ustascia. E sono proprio questi a intercettarli: li portano a lavorare in una famiglia di Belgrado. Loro si liberano dagli indumenti per non farsi riconoscere: il calabrese però conserva gli scarponi militari perché «erano buoni», i tedeschi capiscono chi è lo fucilano. Pietro con l’aiuto dei partigiani parte verso l’Italia: a maggio 1954 si consegna agli Alleati a Trieste. Muore il 17 luglio 2011.