Dal saccheggio delle risorse all'avanzata dei ribelli, dalla Jihad ai cambiamenti climatici... Nella Repubblica Centrafricana ci sono tutti gli ingredienti per un cocktail esplosivo. Padre Giulio Albanese, missionario comboniano, lancia l'allarme: «Se non si trova una soluzione diplomatica, Bangui può precipitare nella totale anarchia». E denuncia: «Questo Paese straordinariamente ricco è diventato un boccone appetitoso per le potenze straniere: oltre alla Francia, la Russia e la Cina».
La Repubblica centrafricana negli anni Settanta era entrata nell'immaginario collettivo a causa di Jean-Bedel Bokassa, l'autoproclamato imperatore accusato di cannibalismo. Poi è sparita dai radar. Invece continua a essere terreno di conquista, martoriato da soprusi, prevaricazioni e brutalità.
Negli ultimi mesi la situazione si è di nuovo aggravata. Lo scorso 27 dicembre si sono tenute le elezioni presidenziali e politiche, in un clima molto teso. Le operazioni di voto sono state accompagnate dall'aumento delle violenze in alcune zone del Paese e dal timore di attacchi alla capitale da parte dei ribelli, che ora hanno raggiunto le porte di Bangui.
Il tutto in attesa che il 19 gennaio arrivino i dati ufficiali delle votazioni e venga proclamato il vincitore, che secondo gli osservatori sarà il presidente uscente Faustin Archange Touadéra, che avrebbe riscosso il 53,2% dei suffragi. Anche se, come scrive la Bbc, «mentre gli elettori si sono presentati in forze a Bangui e in alcune altre città, altrove i militanti hanno lanciato una violenta e dirompente campagna di intimidazione altrove - bruciando le urne, saccheggiando i seggi elettorali e impedendo il voto in oltre il 40% dei distretti elettorali di questo Paese cronicamente instabile».
Ecco perché l'opposizione ha dichiarato illegittima la vittoria di Touadéra e chiede di tornare alle urne. Intanto, le ultime notizie parlano di due attacchi vicino alla capitale e di 5.000 rifugiati in Camerun orientale, dopo gli scontri fra esercito e gruppi ribelli.
La Repubblica centrafricana si regge dunque su un fragilissimo equilibrio. Anche perché deve fare i conti con il ritorno di François Bozizé, l'ex generale andato al potere con un colpo di stato nel 2003, salvo poi essere destituito nel 2013 da un altro golpe, in un clima di instabilità che ha provocato oltre 5.000 vittime e oltre un milione di sfollati.
Per capire perché il Paese africano è ripiombato nell'ennesima spirale di violenza, Panorama ne ha parlato con padre Giulio Albanese, il missionario comboniano fondatore dell'agenzia di stampa Misna e oggi opinionista dell'Osservatore romano.
«Il Centrafrica è la cartina al tornasole dei drammi, delle ingiustizie e delle sopraffazioni avvenute in Africa dalla fine del colonialismo a oggi, nonché delle miserie che ancora affliggono il continente: inferno e paradiso» spiega padre Albanese. «E questo perché è un Paese straordinariamente ricco, grande come la Francia, con solo 5 milioni di abitanti. Se la popolazione autoctona potesse godere dei benefici di questa indicibile ricchezza, sarebbero tutti quanti più ricchi degli abitanti del Canton Ticino».
Invece i suoi quasi 6 milioni di abitanti sono fra i più poveri al mondo: secondo il Rapporto dello sviluppo umano delle Nazioni Unite, nel 2020 la Repubblica centrafricana era al 188esimo posto in base all'indice di sviluppo umano. Peggio ha risultato solo il Niger, che si è piazzato al 189esimo posto.
Già, le risorse naturali... La Repubblica centrafricana è particolarmente ricca di legname pregiato: la più importante zona produttiva si trova nel massiccio forestale del Sud-Ovest. «Dal punto di vista economico, questa foresta semidecidua è una delle più ricche dell'Africa» si legge sul Timber Trade Portal. «Oltre a una densità relativamente alta di sapelli (Entandrophragmacylindricum) e di altre meliaceae, ci sono concentrazioni significative di ayous (Triplochytonscleroxylon) e fraké (Terminaliasuperba)».
«Qualche anno fa un rapporto dell'ong britannica Global witness» prosegue il missionario comboniano, «ha denunciato che società straniere foraggiavano i ribelli per avere il controllo delle foreste centrafricane». Pubblicato il 15 luglio 2015, il rapporto è intitolato Blood Timber, vale a dire legname insanguinato, con un chiaro riferimento ai diamanti insanguinati della Sierra Leone. E muove accuse molto chiare: «Le aziende europee stanno commerciando con le società di disboscamento della Repubblica Centrafricana, che nel solo 2013 hanno pagato oltre 3,4 milioni di euro ai ribelli affinché potessero continuare a disboscare illegalmente, su vasta scala e con notevoli profitti».
Nei depositi alluvionali ci sono poi i diamanti: 62 milioni di dollari di produzione nel 2012, poi crollata a 2,3 milioni nel 2018. «E al confine con il Sudan c'è anche il petrolio» aggiunge padre Albanese. «Per non parlare dell'uranio... È un Paese che potrebbe essere l'Eldorado». E invece, si legge sul The World Factbook della Cia, nel 2017 aveva un prodotto interno lordo di neanche 2 miliardi di dollari (nello stesso anno, il pil italiano superava 2.000 migliaia di miliardi di dollari).
Risultato: nel Paese centrafricano si sono concentrati gli appetiti di tutti. «In particolare quelli delle grandi potenze» sottolinea padre Albanese. «Naturalmente la Francia ha grandi responsabilità perché, approfittando di una classe dirigente che rispondeva al diktat dell'interesse, utilizzava il Centrafrica come se fosse una versione riveduta e corretta delle colonie di un tempo. Però bisogna aggiungere che negli ultimi anni Parigi ha preso coscienza che bisognava affermare il diritto di partecipazione e la democrazia. Nel frattempo però il Centrafrica è diventato un boccone appetitoso per altre potenze. Per esempio la Russia e la stessa Cina. Quindi le responsabilità sono condivise».
Non è tutto. «Il problema di fondo è che dal punto di vista formale questo Paese ha un governo centrale internazionalmente riconosciuto, ma in realtà è parcellizzato sotto il controllo delle milizie ribelli, le stesse che sono oggi alle porte della capitale». E qui rientra in gioco il generale golpista Bozizé. L'ex presidente, 74 anni, ha riunito le milizie ribelli nella cosiddetta Coalizione dei patrioti per il cambiamento. «Bozizé ha finanziato i ribelli, coalizzandoli, perché mirava a essere rieletto» spiega padre Albanese. «In sostanza ha messo in piedi una sollevazione nei confronti del potere centrale internazionalmente riconosciuto, facendo sì che i ribelli impedissero il voto nelle zone sotto il loro controllo».
A garantire la sicurezza del potere centrale, una miriade di truppe straniere. «Nel Paese è presente un contingente di soldati ruandese, chiamato dal presidente Touadéra con la benedizione dell'Unione africana per rafforzare la capitale durante le elezioni, affermando lo stato di diritto» prosegue il missionario comboniano. «Poi è presente la Minusca, la forza di peacekeeping delle Nazioni Unite in Centrafrica. A questo si aggiunge un numero consistente di mercenari. Inoltre c'è l'esercito governativo, che però è un'armata Brancaleone: appena sentono sparare e vedono che si avvicinano i ribelli, scappano».
E poi c'è la cooperazione militare russa: lo scorso 15 ottobre è per esempio iniziata la consegna di 20 veicoli blindati BRDM-2, che erano stati preceduti da pistole, fucili e lanciarazzi. «La presenza russa è la più evidente» sottolinea padre Albanese. «L'ultima volta che sono stato a Bangui il mio aereo era pieno di istruttori miliari russi. Il Cremlino sta rilanciando l'idea di una conquista militare dell'Africa perché non vuole lasciare terreno libero ai cinesi».
Molto probabilmente il vincitore delle elezioni sarà il presidente uscente Touadéra, 63 anni, ex docente di matematica e vicerettore dell'Università di Bangui. Resta però il problema delle modalità con cui si è tenuta la consultazione presidenziale. «Su una popolazione di aventi diritto al voto stimata attorno a un milione e 800.000 unità, sono stati in grado, a causa dell'insicurezza di vaste zone del Paese, di recarsi alle urne, nei rispettivi collegi elettorali, solo 910.000» ha scritto padre Albanese sull'Osservatore romano. «Di questi hanno realmente votato solo 695.000».
Il presidente Touadéra rischia quindi di essere il sindaco di Bangui, cioè di comandare solo nella capitale come in Afghanistan Hamid Karzai era il sindaco di Kabul? «In realtà cinque anni fa era stata raggiunta un'intesa a seguito della visita di Papa Francesco a Bangui, il 29 novembre 2015. In quel momento si era innescato un dialogo per cui il governo, dopo la celebrazione di libere elezioni, era riuscito a impostare una piattaforma di riconciliazione con le forze ribelli. C'erano tutte le premesse perché il Paese ritrovasse una sua unità. Ma il problema è che le forze ribelli sono arrivate a queste elezioni senza un loro candidato: Bozizé si era presentato, però la sua candidatura non era stata accettata. A quel punto tutto è ricominciato da capo».
Non bastasse, in Centrafrica c'è il problema dei cambiamenti climatici. «Poiché il lago Ciad si sta sempre più restringendo, dai Paesi limitrofi arrivano i nomadi fulani» aggiunge padre Albanese. «Gli ingressi ai confini del Centrafrica di queste popolazioni dedite alla pastorizia sono dovuti proprio al fatto che i cambiamenti climatici stanno determinando un esodo anche all'interno dell'Africa sub-sahariana».
A proposito di fulani: i pastori nomadi sono musulmani e nella Repubblica centrafricana c'è il problema dei gruppi jihadisti. Quanto incide sugli equilibri interni del Paese? «Sul tema c'è stata tanta strumentalizzazione. Resta però il fatto che molti di questi jihadisti vengono dai Paesi limitrofi. E mettono in cattiva luce la locale presenza musulmana».
Dalla Jihad ai cambiamenti climatici, dal saccheggio delle risorse all'avanzata dei ribelli... In Centrafrica ci sono tutti gli ingredienti per un cocktail esplosivo. Ma i ribelli potrebbero prendere Bangui? «Non credo. L'interesse da parte di tutti è di trovare una soluzione. Altrimenti c'è davvero il rischio che il Paese precipiti nella totale anarchia, diventando un'altra Somalia. Per evitarlo, sarebbe auspicabile un maggiore sforzo della diplomazia regionale».