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La stella arruginita di un ex sceriffo

La stella arruginita di un ex sceriffo
Da eroe mediatico nella prima ondata del Covid ad attuale sovrano assoluto della Campania. Così il super governatore De Luca rischia di perdere il contatto con la realtà. Come accadde a Caligola...

La colpa, si rammaricano adesso, sarebbe di Maurizio Crozza. Senza quella fortunata imitazione, Vincenzo De Luca non avrebbe trasformato il suo mandato in un canovaccio dal frusto epilogo: far parlare di sé a ogni costo, strappare la risata maramalda, innescare il dagli di gomito. Il governatore campano, allora in cerca di riconferma, è stato l'eroe mediatico della prima ondata. Dileggio, sfrontatezza, decisionismo. Rieletto a furor di popolo lo scorso settembre, ha trasformato l'inaspettato elisir politico in un intruglio a base di cicuta, che rischia di estinguerne il consenso. La sua regione, graziata inizialmente dalla pandemia, sembra ormai uno staterello alla deriva: le scuole chiuse da dieci mesi, la sanità impantanata e il governatore che si fa vaccinare scavalcando ogni suddito.

A settantun'anni suonati, De Luca vive tra nemesi e anamnesi: prima lo chiamavano «Sceriffo» e ora invece «Caligola», l'imperatore romano che perse la trebisonda. Triste, solitario y final. Dicono che da mesi, terrorizzato dall'incedere del virus, viva assediato in un bunker del Genio civile nella sua Salerno, che l'aveva incoronato quattro volte sindaco. Lui nega sdegnato, ma il fondato dubbio resta. Di certo, la seconda ondata ha colto impreparatissima la Campania. E Vincenzo ha reagito, salvo clamorose dispense, come sapeva: chiudendo tutto a due mandate.

Molti sindaci, esasperati, sono arrivati alla disobbedienza sociale. A Napoli le proteste sono quotidiane: imprenditori, commercianti, madri di famiglia. Ora ci si mette pure la magistratura. De Luca è stato già ascoltato nell'indagine sulla realizzazione dei Covid hospital a Napoli, Salerno e Caserta. E la Corte dei conti gli ha chiesto 403 mila euro di risarcimento per danno erariale: avrebbe promosso quattro vigili urbani salernitani a «responsabili» della sua segreteria. Con lo stesso ruolo, è stato appena richiamato in servizio un altro fedelissimo, Nello Mastursi, deposto nel 2015 causa impedimenti giudiziari. Un mese fa, De Luca l'ha voluto di nuovo al suo fianco, nonostante la condanna in primo grado a un anno e sei mesi per induzione indebita. Ovvero, la tentata corruzione di un giudice che doveva giudicare lo stesso presidente campano.

Adesso annaspa. Ma la scorsa primavera, invece, il governatore giganteggiava. Da Roma gli inviano mascherine farlocche? Lui le sventola a favor di telecamera: «Ci hanno mandato quelle di Bunny il coniglietto. Io ci pulisco gli occhiali». E i runner perdigiorno che, piuttosto che stare a casa a ingozzarsi, sgambettano nei parchi spargendo goccioline? «Vecchi cinghialoni da arrestare a vista». E quando vede l'ennesimo assembramento, spara: «Vi mando i carabinieri con il lanciafiamme!». È l'apoteosi. Perfino Naomi Campbell, la «Venere nera», su Instagram celebra «Big Vincenzo». Un ceramista lo ritrae in una statuina: il presidente-armato, in posa da Ghostbuster acchiappa sfaccendati. E mentre Crozza arranca, lui rilancia. Scende ribaldo dall'auto come Bo in Hazzard: «A casa!» urla ai passanti.

Poi, esonda. In preda a un delirio di onnipotenza mediatico, dileggia le regioni del Nord più colpite: «Se Veneto e Lombardia riaprono, la Campania chiude i confini». Spera di diventare il Masaniello del Sud. Comincia dunque a vituperare il politico che simboleggia il Nord, Matteo Salvini. Così, tracima: il leader della Lega è «cafone», «equino», «somaro geneticamente puro», «il Neanderthal». E se l'interessato tarda a replicare, lui rilancia: «Ha la faccia come il suo fondoschiena, peraltro usurato». A onor del vero, la sua furia acchiappa clic non risparmia nessuno. Nemmeno i suoi, come Nicola Zingaretti: «Un segretario di partito che è anche un mio amico è andato a fare un brindisi, ma siccome Dio c'è, ha beccato il Covid».

Il virus, però, arriva pure in Campania. A fine giugno viene scoperto un focolaio in quattro palazzoni a Mondragone, nel Casertano. E dopo aver sbertucciato i flagellati nordisti, il governatore chiama l'esercito per gestire una cinquantina di contagi. Sono i giorni in cui il Napoli vince la Coppa Italia. La gente si riversa trionfante in strada. Migliaia di persone, accalcate, si danno a festeggiamenti epocali. Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell'Oms, assalta: «Sciagurati!». De Luca, rinfoderato il suo lanciafiamme, derubrica: «Sarebbe accaduto ovunque». Così come minimizza il similare e successivo caos per la morte di Diego Armando Maradona. Bambini e ragazzi, per carità, restino lontani dalle scuole. Ma vuoi togliere anche ogni diritto di assembramento selvaggio ai tifosi partenopei?

Ottenuta a fine settembre la rielezione, cominciano però i veri guai. La Campania comincia a guidare la classifica dei contagi. A dispetto delle insolenze generosamente distribuite dal governatore, non sembra prontissima. Perfino il ministro per le Autonomie, il dem Francesco Boccia, accusa De Luca di inerzia: «La Campania prima del Covid aveva 335 posti letto di terapia intensiva. Il governo ha inviato 231 ventilatori, ma risultano attivati 433 posti. Invece, devono essere 566». E via di questo passo. Intanto, di fronte agli ospedali napoletani si formano file di ambulanze e auto private.

Eppure, la regione sfugge alla seguente ripartizione tricolore decisa per contenere l'epidemia. O meglio, finisce in zona gialla. I conti, però, non tornano. La procura apre un'inchiesta sui numeri decisivi per l'inserimento nella fascia meno a rischio: ad esempio il numero dei posti letto reali, diversi da quelli trasmessi da Napoli a Roma. Ma è tutto il sistema sanitario a vacillare. Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, sintetizza: «Penso ci siano stati errori molto gravi della regione e non è uno scaricabarile. I numeri parlano da soli. Le persone a casa sono sole, appena aumenta la febbre vanno in ospedale, il virus è fuori controllo, la medicina territoriale è stata smantellata prima della pandemia. De Luca ha vietato pure ai dottori di dire la verità: il tampone viene fatto dopo molti giorni».

Vincenzo intanto s'è già trasformato, nei meme sui social, in Vin Chen-Zin: faccia squadrata e capelli tirati all'indietro come un dittatore coreano. Per contenere la pandemia, ha sfoderato la più strabiliante delle idee. In una regione che ha il 19 per cento dei ragazzi che abbandonano gli studi, decide di infrangere ogni record europeo. Il governo le chiude da marzo a giugno? Vincenzo rilancia: anche in autunno restino sbarrate. Così come in inverno. Magnanimo, concede giusto un mesetto d'aria agli alunni di prima e seconda elementare. Per il resto, tutti a casa. Perché potenziare le terapie intensive, pianificare la lotta al virus, sollecitare i medici di base? La soluzione c'è già: serrare gli istituti di ogni ordine e grado. Le ragazzine imparino a far la calza. I giovanotti comincino ad aiutare i padri nei lavori pesanti, che nessuno è mai morto di fatica.

E le madri che continuano ad affollare le piazze, implorando il governatore di far tornare i loro figli a scuola come in tutto il globo terraqueo? Sfaccendate pure loro. Anzi, peggio: patetiche. «Mi è capitato di vedere un'intervista a una mammina con una mascherina di tendenza, gli occhi ridenti e fuggitivi. Sosteneva che la sua bambina avesse pianto, dicendo "voglio andare a scuola per imparare a scrivere"» sfotte il governatore. «Credo sia l'unica in Italia che piange per andare a scuola e l'unica al mondo che dà anche la motivazione: vuole imparare a scrivere, le mancano grammatica, sintassi ed endecasillabi. Questa povera figlia è un ogm, cresciuta dalla mamma con latte al plutonio».

Nessuno, stavolta, si sganascia. Anzi. La genitrice in questione risponde su Facebook. E fornisce una mesta interpretazione psicologica: «Presidente, innanzitutto: ci spiace. Ci spiace che la sua infanzia e la sua adolescenza siano stata contrassegnate da un rapporto così conflittuale con la scuola... Devono essere stati anni veramente tristi, squallidi, privi di qualunque slancio emotivo». E non sono solo le No Dad a protestare. Ristoranti e bar avviano una class action contro la regione. Pure con loro, è stato usato inarrivabile estro: dalle 11 si serve solo acqua. E i ristori promessi? «Daremo ogni aiuto possibile» è l'annuncio pre natalizio. Sì, ma quando?

Nessuno insinui, però, che il governatore è un temporeggiatore. I vaccini avevano appena fatto il loro trionfale ingresso in Italia e lui già offriva il suo avambraccio latteo all'operatore sanitario. L'ennesimo indizio, dopo la supposta clausura nel bunker salernitano, di incontrollabile fobia? Macché. «Bisogna dare l'esempio» informa De Luca. Saltare la fila, sotto il Vesuvio, è un imperativo morale della profilassi. E se non lo capisce nemmeno Sergio Mattarella, settantanovenne che attende paziente il suo turno, beh per fortuna c'è chi si sacrifica pur di indicare la strada ai cittadini. E poi, chi se ne frega del presidente della Repubblica? In Campania impera Vin Chen-Zin. Scuole, bar, ospedali, vaccini: ogni suo volere è legge, anzi ordinanza. Gli altri prendano nota. E Crozza, magari, pensi ad aggiornare il repertorio. Lo sceriffo s'è voluto fare imperatore.

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