Consigliere comunale già nel 1956, si vide negare la ricandidatura per i giochi dei partiti. Perse per soli 175 voti l’elezione alla Camera
LUCCA. Giulio Lazzarini è morto nel giorno del suo 93esimo compleanno, venerdì 31 luglio. Già, luglio: lo stesso mese in cui 26 anni fa era diventato sindaco di Lucca. Un’elezione che assommava su di sé almeno un paio di “prime volte”: quella di un sindaco eletto direttamente dai cittadini e quella, squisitamente lucchese, di un sindaco che portava a palazzo Orsetti il centrosinistra, compreso il Pds erede del Pci (parentesi per i puristi: tra il 1944 e il 1946, in realtà, la carica era stata ricoperta dal comunista Gino Baldassari, ma si trattava non di elezione ma di scelta del Cln).
Commercialista di professione, appassionato di storia della città, Lazzarini non era un neofita della politica. Era stato a 29 anni consigliere comunale per la Dc, nel 1956 e aveva in seguito ricoperto incarichi di assessore. Ma, nel corso degli anni Sessanta, il suo rapporto con la Balena bianca si era guastato. «Era uscito dalla Dc come cattolico di sinistra», racconta Francesco Petrini, che di Lazzarini fu l’ombra affettuosa prima e durante la sua esperienza da sindaco.
Era un terreno molto fertile, all’epoca, quello dei “cattolici del dissenso”. E fu lì, ad esempio, che Lazzarini conobbe un altro collaboratore prezioso nella sua esperienza da sindaco, Mauro Di Grazia: «Alla fine degli anni Sessanta frequentavo quei gruppi da non credente. E fu lì che conobbi Lazzarini, quando venne a tenere alcune lezioni di economia».
La politica attiva sarebbe rientrata nella vita di Lazzarini solo molti anni dopo, con il crollo della Prima Repubblica e l’ondata di indignazione morale per le scoperte di Mani pulite. E con la “discesa in campo” di Berlusconi.
In quel contesto nasce a Lucca il “Forum dei progressisti”, catalizzatore di esperienze civili: ad animarlo, tra gli altri, sono Aldo Zanchetta, Ubaldo Tintori e, appunto, Di Grazia e Petrini. «Il 1994 era stato l’anno dell’elezione di Berlusconi - ricorda quest’ultimo - e con il Forum decidemmo di dare vita a una lista di impegno civile per le elezioni amministrative». Consultazioni che arrivavano in un momento drammatico per la città: Comune commissariato e casse sull’orlo del dissesto («non c’erano i soldi per le fotocopie»).
«Avevamo 2-3 opzioni come candidato sindaco - spiega Petrini - ma quella di Giulio da subito era la più forte. Anche perché si trattava di un professionista apprezzato da tutti, destra e sinistra».
C’era, però, qualcos’altro. La grande levatura morale e la schiena dritta, che tutti gli riconoscevano. Ma che in politica possono anche alla lunga essere un problema: «Si può dire che fosse rigido sulle sue convinzioni - ragiona Di Grazia -, poco politico. Ma io dico che era un uomo all’antica, di quelli che purtroppo sono spariti dalla circolazione».
Lazzarini pose alcune condizioni, su tutte quella di non vedere simboli di partito. Nacque allora “vivere Lucca”, che riuniva di fatto Pds, Ppi e Forum progressista. Una sorta di Ulivo due anni prima dell’Ulivo che - nonostante la presenza di altri candidati di sinistra - il 10 luglio, in pieni mondiali di calcio negli Usa, riuscì a vincere al secondo turno con il 53% contro Massimo Bulckaen, candidato del centrodestra.
La navigazione di Lazzarini fu tutt’altro che facile nei quattro anni successivi. Il sindaco riuscì a mettere in ordine i conti del Comune («ci disse: tagliate tutto, ma non il sociale», dice Petrini) e a razionalizzare le municipalizzate, ma l’istituzione della Ztl lo portò a un durissimo scontro con i commercianti, culminato nella “serrata” durante la Luminara del 1996, quando Lazzarini scese in processione scortato dalle forze dell’ordine.
Ma anche l’urbanistica fu croce (molta) e delizia (poco) di quel periodo. Ad accollarsela, dal 1996, fu Di Grazia, al posto di Alfredo Alunni Macerini: «Allora io guidavo l’Amit e lui volle darmi, contro la mia volontà, l’incarico di assessore per fare il piano strutturale in due anni».
In quel momento il Ppi manifestava i primi malumori, che sarebbero diventati dissenso aperto proprio sull’urbanistica, nonostante che il piano fosse nato anche grazie alla collaborazione di un gigante come Italo Insolera. E alla fine proprio i popolari furono i primi a scaricare Lazzarini in vista del possibile secondo mandato.
Il resto, come si dice, è storia. Pur se con qualche ritrosia anche il Pds accettò l’idea di candidare il vicepresidente della Provincia Antonio Rossetti (magna pars nella vicenda fu l’allora segretario regionale Agostino Fragai) e Lazzarini decise di presentarsi ugualmente nonostante - ricorda Petrini - «ci dicessero che avremmo preso il 3%». In realtà Lazzarini arrivò ben oltre il 20%, al terzo posto, sfiorando il ballottaggio con Pietro Fazzi.
Nei 15 giorni fra primo e secondo turno naufragò ogni tentativo di apparentamento fra i due candidati di centrosinistra a allo spareggio Fazzi ebbe vita facile, iniziando il suo doppio mandato. Un episodio in salsa lucchese del tafazzismo di sinistra, che nemmeno le telefonate di Romano Prodi e la mediazione di Enrico Letta riuscirono a ricomporre.
La carriera politica di Lazzarini non finì nel 1998. Tre anni dopo, alle politiche, fu candidato alla Camera contro Altero Matteoli («lo vennero a ricercare», ricorda Petrini). La dura legge del collegio uninominale e 175 voti di scarto (con un risultato pessimo a Massarosa) gli impedirono l’accesso a Montecitorio. L’anno dopo il centrosinistra tornato unito lo candidò per sbarrare la strada al Fazzi-bis, ma il centrodestra passò agevolmente al primo turno.
Amante della velocità e del volo (aveva un aereo che pilotava a Tassignano), per Petrini «Lazzarini è stato un grandissimo sindaco, al livello di Giovanni Martinelli. E se avessimo avuto cinque anni in più avremmo potuto davvero cambiare la città». —
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