Decreti e programmi per la difesa ambientale o la mobilità, per il riciclo della plastica o i nuovi alberi nelle aree urbane. Investimenti previsti: decine di milioni di euro. Peccato che, andando a verificare, i provvedimenti risultino quasi sempre impantanati per rimpalli e lentezze burocratiche. E il tanto sbandierato «Green new deal» resta un sogno.
Il «Green new deal» esaltato come un sol dell'avvenire a tinte verdi. O comunque come uno dei pochi temi capace di mettere, sulla carta, tutti d'accordo nel governo. Dal Movimento Cinque stelle a Italia viva, ognuno benedice gli investimenti per l'ambiente. Non è da meno il Partito democratico, che con Nicola Zingaretti aveva proposto un «nuovo accordo verde» già nel novembre 2018. Così Giuseppe Conte ne parla in ogni occasione, strizzando l'occhio anche ai giovani dei Fridays for future, principali sostenitori della paladina ambientale Greta Thunberg.
Addirittura il presidente del Consiglio, a dicembre, nel corso di un incontro a Roma, si è vantato di aver predisposto un piano «tra i più ambiziosi». Aggiungendo: «Lo posso dire senza falsa modestia, anche in relazione agli obiettivi per il 2030». Una melodia per le orecchie di Beppe Grillo, che un giorno sì e l'altro pure sul suo blog pontifica sulle meraviglie tecnologiche legate all'ambiente.
Solo che del progetto governativo non si hanno notizie. Per tenere fede alle promesse, lo scorso dicembre è stato approvato il decreto Clima. Un provvedimento definito dal ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, il «primo pilastro» del Green new deal. Una pioggia di soldi agli enti locali e alle imprese, tante iniziative e presunte innovazioni che hanno messo al centro il tema ambientale.
Ma cosa ha prodotto questo «rivoluzionario» decreto? Carte alla mano, poco o nulla. Un decreto a impatto zero, per i risultati. Dietro i buoni propositi sono state messe nero su bianco misure spot, tuttora impantanate a causa di rimpalli di responsabilità e lentezze burocratiche. Alla fine mancano i decreti ministeriali attuativi per rendere esecutivi gli articoli di legge.
Tra le novità avrebbe dovuto vedere la luce un «tavolo permanente interministeriale sull'emergenza climatica». L'obiettivo? «Monitorare, e adeguare ai risultati, le azioni del Programma strategico nazionale». Il tavolo, che si pone traguardi ambiziosi, non c'è per mancanza della regolamentazione prevista dal ministero dell'Ambiente. Altro punto cardine, il sostegno «alle nuove imprese e a quelle già esistenti che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o di investimenti per il contrasto ai cambiamenti climatici, e per efficientamento energetico, economia circolare, protezione della biodiversità». Insomma, stimoli economici per cambiare il volto delle aziende. Questo è quanto scritto sulla carta. E lì resta, in assenza d'informazioni su come assegnare le risorse.
Stessa musica quando si parla di 40 milioni di euro per la creazione, il prolungamento, l'ammodernamento e la messa a norma di corsie preferenziali per il trasporto pubblico locale, per Comuni con più di 50.000 abitanti. Un modo per rendere più efficiente il tpl. Utile, no? Peccato che sia tutto ostaggio della burocrazia. Dal ministero si difendono, spiegando che «il decreto è pronto», ma «i tempi di conclusione dipendono dai tempi di risposta delle amministrazioni concertanti». Ulteriori 40 milioni avrebbero dovuto incentivare i commercianti per «la vendita di detergenti o prodotti alimentari, sfusi o alla spina». Ogni esercente avrebbe potuto coprire le spese sostenute fino a un massimo di 5.000 euro. Anche in questo caso, però, il provvedimento di attuazione è imbottigliato al ministero dello Sviluppo, altra parte in causa.
Sono previsti poi investimenti per la formazione, tramite un ambizioso «fondo denominato Programma #iosonoAmbiente». La dotazione totale è di sei milioni per tre anni. Dietro l'hashtag, però, il niente: manca il «regolamento che disciplina i criteri di presentazione e di selezione dei progetti nonché le modalità di ripartizione e assegnazione dei finanziamenti». Il decreto Clima ha stanziato pure 30 milioni per «un programma sperimentale di messa a dimora di alberi, di reimpianto e di silvicoltura, e per la creazione di foreste urbane e periurbane, nelle città metropolitane».
Di queste foreste nelle città non c'è traccia. Stando alle informazioni riferite del ministero dell'Ambiente, il decreto dovrebbe veder la luce a fine luglio. Con almeno quattro mesi di ritardo sulla tabella di marcia. «Stiamo seguendo i dossier per l'applicazione di tutte le norme incluse nel provvedimento», spiega a Panorama il ministro Costa. «In molti casi, sulla materia ambientale la documentazione dev'essere posta al vaglio di altri attori, dalla Commissione europea al Consiglio di Stato». Quindi, una responsabilità condivisa. E aggiunge una postilla virale: «Non va dimenticato che c'è stata l'epidemia di Covid-19 che ha inevitabilmente rallentato delle procedure».
Tra burocrazia e virus, è rimasto fermo il progetto per favorire il riciclo della plastica, di cui proprio Costa è un alfiere. Il governo Conte bis aveva pensato al programma ribattezzato Mangiaplastica. Una spesa totale di 27 milioni da destinare ai Comuni per l'acquisto di ecocompattatori. I sindaci interessati al Mangiaplastica devono digiunare per un bel po': attualmente non si sa come ripartire il fondo. Tra le innovazioni introdotte dal decreto Clima figura anche l'individuazione annuale di una città capoluogo come «Capitale verde d'Italia». Lo stanziamento ammonterebbe a 3 milioni di euro ogni anno. Il condizionale è d'obbligo, perché latitano la procedura e pure i criteri per l'attribuzione del riconoscimento.
Come se non bastasse, va a rilento un altro cavallo di battaglia del governo: la mobilità elettrica, quella promossa con il bonus introdotto nel decreto Rilancio. Se da un lato il governo elargisce fondi per favorire l'acquisto di bici elettriche e monopattini, dall'altro non garantisce le infrastrutture. Basti pensare alle piste ciclabili, ignorate anche per le iniziative in cantiere da tempo. E pensare che il Programma di incentivazione della mobilità urbana sostenibile, risalente al 2019, aveva previsto stanziamenti per 15 milioni di euro, da destinare ai Comuni con più di 50.000 abitanti.
Gli obiettivi sono vari, tra cui la realizzazione di nuove piste ciclabili e lo sviluppo della sharing mobility. Spostarsi in bici è quindi una scelta a rischio e pericolo del cittadino. La questione è stata portata all'attenzione della Camera anche da un'interrogazione della deputata di Leu, Rossella Muroni, che da sostenitrice della maggioranza ha comunque denunciato come da oltre un anno non sia «ancora reso noto quali progetti sono stati finanziati». Uno dei tanti buchi neri. O, meglio, verdi.
