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Valvole rotative: dal W12 Moteurs Guy Nègre al V10 Bishop

Valvole rotative: chissà quale corso avrebbe preso la tecnica motoristica se, i legislatori FIA, avessero consentito l’uso di tale soluzione. Da molti anni, infatti, il regolamento tecnico Formula 1 contempla solo ed esclusivamente le diffuse e comuni valvole a fungo con testa circolare e movi...

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Valvole rotative: chissà quale corso avrebbe preso la tecnica motoristica se, i legislatori FIA, avessero consentito l’uso di tale soluzione.

Da molti anni, infatti, il regolamento tecnico Formula 1 contempla solo ed esclusivamente le diffuse e comuni valvole a fungo con testa circolare e movimento assiale/parallelo (le valvole con la medesima funzione debbono muoversi parallelamente; vietate, quindi, le valvole radiali). Anche il  numero delle valvole è stabilito dal regolamento: 2 di aspirazione e 2 di scarico. Leggiamo al punto 5.1.8 del Regolamento Tecnico FIA Formula 1 2020 (ARTICLE 5: POWER UNIT — 5.1 Engine specification): “Engines must have two inlet and two exhaust valves per cylinder. Only reciprocating poppet valves with axial displacement are permitted. The sealing interface between the moving valve component and the stationary engine component must be circular.

Limitazioni, dunque, che mettono fuorigioco altre tipologie di distribuzione, ad iniziare dalle valvole rotative. In un passato non molto lontano, tuttavia, i tecnici motoristi hanno potuto esplorare la strada delle valvole rotative (dette anche valvole rotanti), a caccia di alternative intese alla ottimizzazione delle prestazioni dei motori ad alta potenza specifica destinati, anzitutto, alla Formula 1.

Due, in particolare, i motori che andremo ad illustrare: Il W12 MGN ed il V10 della australiana Bihop Innovation.

MGN, ossia Moteurs Guy Nègre. È al tecnico motorista francese ex Renault che dobbiamo la nascita di uno dei motori da competizione più interessanti mai realizzati dagli Anni ’80 ad oggi.

Alla fine degli Anni ’80, la azienda capitanata da Guy Nègre si cimenta nel progetto e nella realizzazione di un 12 cilindri in W. Frazionamento (12 cilindri) e architettura (W) li ritroveremo, nel 1990, sulla interessante ma affatto competitiva Life L190, monoposto italiana azionata dall’ardito Life F35, W12 di 60°, aspirato e di 3500cc progettato da Franco Rocchi. Ricordiamo, a tal proposito, che l’architettura W12 prevede i 12 cilindri disposti su tre bancate, ciascuna composta da 4 cilindri.

La vera peculiarità del W12 MGN (anch’esso W12 di 60°), tuttavia, risiede nella distribuzione a valvole rotative. Nella fattispecie, i tecnici francesi optano per un sistema formato da due dischi, due cilindri che ruotano nella parte superiore della testata. In questi dischi — che si muovono parallelamente — sono ricavate le luci di aspirazione e scarico, debitamente fasate tra loro.

Suddetta configurazione conferisce, anzitutto, un aspetto molto compatto — almeno in altezza — al motore francese, sprovvisto di classiche testate con valvole a fungo. Similmente al W12 Life F35, troviamo le trombette di aspirazione delle bancate destra e centrale le une accanto alle altre. Una asimmetria che si rende necessaria allo scopo di ridurre gli ingombri e gestire al meglio le temperature: in questo modo, lo scarico delle bancate più esterne è posizionato all’esterno del W, quello della bancata centrale si trova — necessariamente — all’interno del W, sul lato sinistro della bancata stessa. Inevitabilmente, lo scarico (4 in 1) della bancata centrale risulta collocato centralmente e in alto.

Alla MGN, però, manca un’auto a bordo della quale poter testare l’inedito W12. La scelta ricade sulla AGS (acronimo di Automobiles Gonfaronnaises Sportives) JH22, modello che prende parte al Mondiale di F1 1987 condotta, persino con risultati incoraggianti, da Pascal Fabre e Roberto Moreno (quest’ultimo conquista 1 punto grazie al 6° posto al GP d’Australia).

Nel 1987, tuttavia, la vettura è spinta dal V8 di 90° aspirato Cosworth DFZ. Un motore assai diverso dal W12 MGN.

Sulla carta, la JH22 motorizzata MGN W12 avrebbe dovuto palesare prestazioni migliori: il motore francese, infatti, è più leggero (120 kg) del V8 Cosworth di circa 30 kg, inoltre anche la potenza massima è — sempre secondo stime —superiore. Essa si attesta attorno ai 630 CV a 11.500 giri/minuto; un valore, pertanto, non molto inferiore a quelle espresse dai motori Turbo di 1500cc tarati ad 2,5 bar (1988). Le fonti, inoltre, parlano di un regime massimo di rotazione pari a 12.500-12.800 giri/minuto: un valore considerevole per un motore aspirato di fine Anni ’80.

Come spesso accade, i calcoli teorici e le prove al banco non trovano egual riscontro in pista. La AGS JH22 (telaio #033) del 1987 viene modificata alla buona per ospitare il W12 MGN. La carrozzeria posteriore è rimaneggiata, il motore — ancora in fase di sviluppo — totalmente scoperto e privo di apposita carrozzeria.

Nel settembre 1989, hanno inizio i test sul Circuit du Grand Sambuc, un piccolo tracciato situato nella Sud della Francia. Il motore si rivela sufficientemente affidabile ma le prestazioni sono assai inferiori a quelle previste: i 630 CV sono un miraggio.

A tingere di “mistero” quei giri di pista effettuati dalla AGS JH22 “laboratorio” spinta dal motore a valvole rotative MGN W12, l’identità del pilota collaudatore. Le scarne cronache riportano il nome di Philippe Billot, un test driver locale.

I riscontri negativi dei test fanno naufragare repentinamente il sogno di vedere in Formula 1 il W12 MGN a valvole rotative. Ma non finisce qui.

Nel 1990, la Moteurs Guy Nègre si accorda con la Norma Auto Concept, azienda costruttrice artigianale francese di vetture Sport-Prototipo fondata, nel 1984, da Norbert Santos e Marc Doucet (il nome Norma prende origine, appunto, dalle iniziali dei nomi di battesimo dei due fondatori).

Intento di Norma e MGN è partecipare alla 24 Ore di Le Mans del 1990 con una Norma M6 azionata dal W12 3500cc a valvole rotative.

La vettura, sotto le insegne dell’ASA Armagnac Bigorre e iscritta nella classe C1, avrebbe dovuto essere portata in gara — o almeno in qualifica — dall’equipaggio composto da Norbert Santos/Noël del Bello/Daniel Boccard.

L’avventura della Norma M6-MGN W12 in quel di Le Mans si tinge, ben presto, a tinte tragicomiche: il motore, dopo iniziali, timidi borbottii, si ammutolisce. Per sempre. Vani i tentativi di avviare il W12 francese. L’auto non scenderà mai in pista: senza alcun giro all’attivo, l’auto non è qualificata alla corsa.

L’ardito W12 della MGN, tuttavia, non è il solo motore a valvole rotative destinato alla F1 e ai Prototipi a far parlare di sé tra la fine degli Anni ’80 e gli Anni ’90.

A rispolverare questa interessante tecnologia è l’australiana Bishop Innovation. Nel 1997, inizia una collaborazione tra la Ilmor-Mercedes e l’azienda australiana. Scopo della partnership, il progetto e la realizzazione di un 10 cilindri in V a valvole rotative destinato alla Formula 1.

Il progetto, tuttavia, è abortito agli inizi degli Anni 2000: la FIA, infatti, vieta l’uso di valvole rotative (2004) a favore delle sole valvole a fungo. Il sogno della Bishop muore, praticamente, sul nascere. La collaborazione tra Bishop e Ilmor, pertanto, si concretizza in prima battuta nel classico e canonico studio del singolo cilindro: un 300cc con sistema BRV (Bishop Rotary Valve).

Suddetto sistema prevede una valvola rotativa per ogni singolo cilindro; queste valvole rotative sono, ovviamente, provviste di luci di aspirazione e scarico. Appositi elementi di tenuta impediscono al liquido refrigerante e all’olio di penetrare nelle luci della valvola. Realizzate in acciaio e montate su cuscinetti a rulli, queste valvole sono azionate da ingranaggi: l’albero motore aziona una cascata di ingranaggi la quale, a sua volta, muove un albero al centro del V il quale, a sua volta, aziona altri ingranaggi che insistono sui cilindri delle valvole rotative.

I test danno esito positivo, benché si riscontrino i tipici problemi di queste valvole: considerevoli sollecitazioni e deformazioni termiche, lubrificazione critica, altrettanto critica tenuta dei liquidi e dei gas, coefficienti di efflusso negativi quando la valvola si “disallinea” (flusso obliquo). Simulazioni al CFD mostrano che le valvole BRV possono (in linea teorica) sostenere un regime di rotazione di 25.000 giri/minuto.

Ulteriori i vantaggi — reali o presunti — delle valvole rotative rispetto alle valvole a fungo: minor numero di organi in moto alterno (valvole a fungo e relativi comandi), raggiungimento più agevole di elevati regimi di rotazione (le valvole rotative ruotano ad un regime circa la metà di quello dell’albero motore), maggiore area geometrica rispetto a quella riscontrabile su motori con valvole a fungo (sezione di passaggio del fluido — in aspirazione e scarico — maggiore rispetto alle sezioni di passaggio realizzate dalle valvole a fungo), favorevoli massimi coefficienti di efflusso (il rapporto tra la portata reale del fluido che attraversa la valvola e quella che, in condizioni ideali, attraverserebbe la medesima sezione) grazie al flusso che arriva indisturbato e senza ostacoli (assenza, cioè, di quelle brusche deviazioni causa la presenza del piattello e dello stelo delle valvole a fungo).

Nel sistema BRV, il flusso a monte della luce di ammissione presenta un angolo di 35°; la completa rotazione del flusso (90°) avviene direttamente all’interno del cilindro. Questo apparentemente non ortodosso flusso obliquo in fase di ammissione, che si orienta a 90° solo all’interno del cilindro, genera particolari turbolenze che rimescolano la miscela aria/carburante così da ottimizzare la combustione.

Regolamenti eccessivamente rigidi e standardizzanti o scelte poco coraggiose da parte dei tecnici progettisti (laddove si potrebbe ancora sperimentare soluzioni alternative) hanno costituito, e ancora oggi costituiscono, barriere allo sviluppo della tecnologia delle valvole rotative. Gli studi non sono mancati e non mancano ma, di realmente concreto in ambito competizione, abbiamo ancora molto poco.

Ecco, infine, una breve galleria fotografica.

Di seguito, due diverse configurazioni della AGS JH22-Cosworth DFZ del 1987 condotta da Pascal Fabre e Roberto Moreno. Da questa vettura è nata la monoposto laboratorio spinta dal W12 MGN a valvole rotative. (FOTO 1 e 2, nella gallery in fondo all’articolo) 

Qui, invece, gli ormai famosi e ricorrenti scatti che hanno per sempre immortalato la AGS JH22 motorizzata dal 12 cilindri in W di 60° a valvole rotative realizzato dalla MGN. Apprezzabile, esteriormente, frazionamento, architettura, la disposizione degli scarichi e le modifiche apportate alle pance e al retrotreno della AGS. (FOTO 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, nella gallery in fondo all’articolo)

Qui, la Norma M6 di classe C1 spinta dal W12 a valvole rotative MGN. Per questa biposto, la 24 Ore di Le Mans 1990 non è mai iniziata… (FOTO 10 e 11, nella gallery in fondo all’articolo)

In foto, i render della distribuzione a valvole rotative del V10 Bishop Innovation. Il sistema è battezzato BRV (Bishop Rotary Valve). In blu, la luce di aspirazione, in rosso quella di scarico. Si apprezza bene la disposizione dei cilindri rotanti, posti immediatamente sopra il cilindro. Nell’illustrazione al CFD (Computational Fluid Dynamics), vediamo l’orientamento obliquo della colonna gassosa in fase di aspirazione, la quale, poi, va a disporsi perpendicolare all’interno del cilindro. Un fenomeno che palesa, al tempo stesso, pro e contro. (FOTO 12, 13 e 14, nella gallery in fondo all’articolo)

[See image gallery at www.circusf1.com]

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