Tra il 1995 e il 2022, la quota di ricchezza posseduta dallo 0,001% più abbiente è più che raddoppiata passando da circa il 3,3% al 6,9%. Nel frattempo il 50% più povero della popolazione mondiale ha visto crescere il proprio patrimonio di pochissimo, dall’1,3% del 1995 all’1,9% nel 2022. Risultato: nel 2022 possedeva circa 20 volte più ricchezza del 50% della popolazione più povera e il solo 0,001% più ricco possedeva più di tre volte tanto rispetto al 50% più povero. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nel report ‘Tassazione e disuguaglianza’ preparato in luglio per il G20 dei ministri delle Finanze che ha discusso anche della necessità di tassare di più i super ricchi, mette in fila le cifre che attestano “una tendenza all’aumento della concentrazione della ricchezza” nel mondo. Ed esamina l’impatto che possono avere i sistemi fiscali sulla disuguaglianza sociale.
Nella maggior parte dei Paesi la quota di ricchezza posseduta dall’1% degli individui più benestanti varia da circa il 15% a oltre il 50% della ricchezza complessiva. La maggior concentrazione si registra in Sud Africa, dove il 54,4% della ricchezza è nelle mani dell’1% della popolazione. Nei Paesi Bassi al contrario l’1% più ricco ha “solo” il 13,1% di tutta la ricchezza nazionale. Ma i veri Paperoni, lo 0,001%, sono i veri vincenti, avendo visto la propria quota crescere notevolmente a livello globale. Mentre il loro carico fiscale restava assai ridotto per effetto di “aliquote basse, esenzioni e detrazioni per categorie di reddito e patrimonio, incluso il trattamento fiscale più favorevole dei redditi da capitale rispetto ai redditi da lavoro”, ricorda l’Ocse. Inoltre, per i super ricchi le differenze di aliquote e agevolazioni fiscali tra Paesi diversi, insieme a una maggiore mobilità, “possono aumentare le opportunità di pianificazione aggressiva delle proprie attività economiche a livello internazionale. I sistemi fiscali possono incidere sulla disuguaglianza”.
Quanto alle imposte di successione, “in genere generano entrate limitate” perché “vengono riscosse su basi imponibili ristrette, con grandi classi di attività che beneficiano di sgravi fiscali” e “spesso offrono opportunità di pianificazione fiscale ad esempio attraverso le donazioni in vita, che beneficiano di un trattamento fiscale preferenziale in molti paesi”. Risultato: “Oltre a ridurre le entrate, queste imposte di successione riducono la progressività e introducono ulteriori complessità”.
L’organizzazione dei Paesi sviluppati argomenta di conseguenza a favore di una più efficace tassazione dei redditi alti e della ricchezza: “Diversi studi mettono in luce i fattori che influenzano la motivazione a pagare le tasse, tra cui la qualità dei servizi pubblici e la fiducia nel governo, ma anche l’equità percepita o la progressività della tassazione”, spiega. Quindi “migliorare l’efficacia della tassazione sui redditi più alti e sulla ricchezza potrebbe influenzare positivamente la percezione di equità di un sistema fiscale, contribuendo a rafforzare l’adempimento volontario“. In più “garantire un’equa distribuzione degli oneri fiscali può essere importante date le crescenti pressioni fiscali” legate a sfide strutturali come l’invecchiamento della popolazione e l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici. “Entrate aggiuntive servono anche per sostenere i progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile”. Non migliorare l’efficacia della tassazione sui redditi più alti e sulla ricchezza “potrebbe non solo influenzare la percezione di equità ma anche peggiorare i divari di gettito”.
Il Fatto Quotidiano sostiene la raccolta firme La Grande Ricchezza a favore della tassazione dei grandi patrimoni promossa da Oxfam (qui il link al sito da cui è possibile aderire).
L'articolo Ocse: “La ricchezza dello 0,001% più abbiente raddoppiata in 30 anni. Tassarli di più aumenta la percezione di equità del fisco” proviene da Il Fatto Quotidiano.