foto da Quotidiani locali
TRIESTE La polemica che ha caratterizzato la giornata del 25 Aprile a Trieste, con il governatore Fedriga che ha tacciato di «riduzionismo» l’intervento, durante la cerimonia solenne nella Risiera di San Sabba della rappresentante dell’Anpi, leggendovi una chiara allusione alle foibe, ha riportato in primo piano un termine che si presta a interpretazioni controverse.
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Ma cosa significa riduzionismo? Lo abbiamo chiesto a due noti storici locali, a cominciare da uno dei massimi esperti della storia dell’Alto Adriatico, Raoul Pupo.
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«Riduzionismo non è un termine scientifico, ma ricorre soprattutto nell’uso politico – premette Pupo –. Vengono definite riduzioniste le posizioni che si ritiene sminuiscano, per pregiudizio, la portata di alcuni fenomeni storici drammatici. Nel nostro Vademecum per il Giorno del Ricordo realizzato dall’Irsrec, disponibile online, c’è un’ampia voce su “negazionismo, giustificazionismo e riduzionismo”, proprio perché si tratta di termini assai problematici. Bisogna domandarsi: riduzionismo nei confronti di quale verità storica? Ci può essere una forbice tra conclusioni della ricerca storica e versioni ideologiche dei fatti. In certi casi gli storici in blocco vengono accusati di riduzionismo solo perché raccontano una verità storica che a qualcuno non piace».
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«Se si proclama che foibe o esodo non sono avvenuti o sono avvenuti in maniera casuale e spontanea, senza che vi fosse dietro una progettualità politica, certamente questo contrasta con quanto ci dicono le fonti – sottolinea lo storico –. Se invece si osserva che le stragi del ’45 nella Venezia Giulia vanno inquadrate nell’ambito delle più ampia ondata di violenza che ha riguardato tutti i territori liberati da partigiani jugoslavi alla fine della guerra e che quindi sono un fenomeno generale, jugoslavo potremmo dire, con delle specificità nella Venezia Giulia, questo è esattamente quel che risulta dalle fonti. Allo stesso modo emerge in maniera inequivocabile dalle fonti che l’obiettivo primo delle stragi non era la distruzione della presenza italiana nella regione, ma l’eliminazione dei cosiddetti “nemici del popolo”, cioè gli avversari del movimento di liberazione jugoslavo a guida comunista, fra i quali c’erano molti fascisti, ma anche i sostenitori antifascisti del mantenimento della sovranità italiana sulla Venezia Giulia».
«Questi sono giudizi storici ormai pacifici – aggiunge Pupo –, ma che in sede politico-ideologica a qualcuno sembrano riduzionisti; il difetto sta nell’occhio di chi guarda. Spesso i giudizi politici si basano sulle memorie, che non sono in grado di spiegare criticamente le ragioni degli avvenimenti. Farne degli assiomi politici comporta delle deformazioni e apre la strada alle strumentalizzazioni. Sulle vicende del confine orientale è avvenuto un’infinità di volte e succede tuttora. Questo non vuol dire che iniziative come il Giorno del Ricordo, di cui sono sostenitore, di per sé siano atti propagandistici: dovrebbero servire a una migliore comprensione del passato. Succede che venga talvolta gestito in sedi politiche e istituzionali con un’ottica palesemente nazionalista o perseguendo interessi di parte, ma la legge ha come obiettivo quello di fare della storia delle tragedie adriatiche, tutte quante, un patrimonio comune dell’intera nazione. Ciò è impossibile se alla verità storica si preferisce l’ideologia».
Ma in quale contesto nasce il concetto di riduzionismo? A spiegarne la genesi è il direttore scientifico dell’Irsrec, Patrick Karlsen.
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«Termini come riduzionismo e negazionismo sono nati attorno alle polemiche storiografiche e politiche sulla Shoah – ricorda Karlsen –. L’esempio più noto è quello dello storico tedesco Ernst Nolte, al centro di un dibattito che negli anni Novanta sconvolse l’opinione pubblica in Germania, dando vita a un caso noto come “Historikerstreit”, ovvero “disputa tra gli storici”. Argomenti come il nazismo e la Shoah erano considerati intoccabili, ma Nolte, storico del nazionalsocialismo, se ne venne fuori con un’interpretazione che considerava il nazismo semplicemente come una risposta al bolscevismo e aggiunse, in modo ancora più dirompente, che Auschwitz era stata un’imitazione dei gulag».
«Ovviamente – rimarca lo storico – furono molte le reazioni a cominciare da quella del filosofo Jürgen Habermas che accusò Nolte di diffondere un’interpretazione, appunto, riduzionista del nazismo in quanto considerandolo unicamente come risposta al bolscevismo se ne tendeva a ridurre le responsabilità e la portata criminale, identificando l’inizio dei totalitarismi del Novecento con la rivoluzione d’ottobre del 1917. In Italia il concetto di riduzionismo ha poi cominciato a prendere piede anche riguardo ai giudizi su fenomeni come foibe ed esodo. In questi casi vengono considerate riduzioniste le ricostruzioni storiche che ne indeboliscono l’impatto, considerandoli mera reazione alle violenze del fascismo, eludendo tutta una serie di caratteristiche che obiettivamente presentano».
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