Il totoministri per la Salute vede in prima fila Bassetti, Rocca (Cri), Ronzulli e Mandelli
Su un tema, sopra gli altri, Mario Draghi e Giorgia Meloni non sono mai riusciti a concedersi una tregua. Sul Covid e sulle politiche di contrasto adottate dal governo uscente, la futura probabile premier potrebbe trovarsi a dover misurare subito le promesse fatte dall’opposizione e poi in campagna elettorale: basta Green pass, basta vaccini obbligatori, basta restrizioni generalizzate. La sua fortuna, molto probabilmente, è che non si troverà nella situazione disastrosa che hanno affrontato prima Giuseppe Conte e poi Draghi, quando i vaccini non c’erano, o non erano abbastanza, quando il virus intasava ospedali e uccideva molto di più.
Draghi non lo ha dimenticato. Oggi scade la norma che impone la mascherina Ffp2 sui mezzi pubblici, e non ci saranno proroghe. Il governo uscente non ha firmato un nuovo provvedimento. Incombenza che è stata lasciata al nuovo. Una decisione che rispecchia la linea adottata dall’ex presidente della Bce anche su altri dossier, a partire dalla manovra di Bilancio. «L’indirizzo politico da dare alle misure - è la tesi di Draghi - è una responsabilità che si devono prendere i nuovi governanti». Tanto più su decisioni che impattano sulla vita privata e pubblica dei cittadini.
Con il virus che rialza la testa, però, non c’è molto da fare: l’obiettivo rispetto all’era di Roberto Speranza non cambia, ed è quello di contenere ricoveri e decessi. I contagi, ormai, sono la normalità. Cambieranno però le ricette, perché come annunciato da Meloni dal palco di Piazza del Popolo, «nel caso di recrudescenza della pandemia l’Italia non sarà più l’esperimento del modello cinese in Occidente». E infatti il primo ostacolo che si sta per frapporre al cammino del nuovo governo, l’ondata di Covid autunnale, la leader di FdI e i suoi intendono superarlo senza più imposizioni. Bisognerà anche vedere chi incarnerà la linea del governo al ministero della Salute. E se per il dopo-Speranza Meloni punterà su un tecnico di area (i papabili sono Francesco Rocca della Croce Rossa e Matteo Bassetti, virologo star del San Martino di Genova), o su un politico (Forza Italia schiera il non eletto Andrea Mandelli o, in alternativa, Licia Ronzulli. Mentre tra i leghisti si parla Massimo Garavaglia, già coordinatore degli assessori regionali alla Sanità).
In ospedali e Rsa le mascherine si indosseranno ancora per un mese come da proroga decisa dal ministro uscente, ma condivisa anche da FdI. Altrove però non più, a cominciare da bus, metro e treni. Ma come anticipato da Bassetti non si indosseranno più anche a scuola quando c’è stato un positivo in classe. «Una stupidaggine. È come mettere il tappo nella vasca che già si è svuotata», sentenzia il professore. La svolta sarebbe però lo stop alla quarantena dei positivi asintomatici. Una bestemmia per i tecnici vicini a Speranza, come Walter Ricciardi. Un passo necessario secondo quelli “aperturisti”. «Oggi abbiamo una situazione paradossale -afferma sempre Bassetti- con positivi di serie A, che si fanno il tampone in casa per andarsene poi tranquillamente in giro e quelli di serie B, che per aver fatto il test in farmacia o in ospedale finiscono in isolamento per 5-10 giorni. Dobbiamo dire – afferma il virologo- che se hai la febbre e la tosse stai a casa per almeno cinque giorni, come per gli altri virus respiratori, e poi senza tampone esci come fanno gli svizzeri. Liberare gli asintomatici spingerebbe anche tanti positivi non dichiarati a indossare la Ffp2 almeno nei luoghi chiusi, anziché andarsene in giro senza alcuna protezione per non essere scoperti». Una linea che il nuovo governo è pronto a mettere in pratica se dovessimo tornare a una situazione come quella dell’inverno scorso, quando con un milione e mezzo di italiani in isolamento domiciliare finirono per mancare medici negli ospedali e vigili del fuoco a spegnere gli incendi. Quanto questo possa poi spingere ancora più in alto i contagi si vedrà.
Se mascherine e quarantena sono destinate a finire in soffitta per frenare la pandemia, si punta però su vaccini e terapie. In campagna elettorale più di un esponente di centrodestra ha continuato a strizzare l’occhio al popolo dei No vax, che rappresenta meno del 5% della popolazione. Ora però bisogna mettersi in sintonia con il restante 95%, che ai vaccini ci crede ma soffre di “stanchezza vaccinale” a furia di richiami. Non a caso su 14 milioni che potevano ricevere subito la quarta dose, solo in 3,2 si sono fatti avanti. Ora per accelerare si punta soprattutto sui medici di famiglia, molti di loro troppo restii nel prescrivere gli antivirali. Ai medici sarà chiesto di contattare uno a uno gli assistiti renitenti alla vaccinazione. «Concentrandosi, anziché sui bambini di sei anni, su over 65 e fragili tra i quali si conta la quasi totalità dei morti per Covid», mette in chiaro il responsabile sanità di Fratelli d’Italia, Marcello Gemmato. A spingere i dottori a darsi una mossa sarebbe una sorta di patto che il governo stringerebbe con loro: «Voi vi mettete al telefono a chiamare i vostri assistiti più a rischio, e noi non vi inchiodiamo più a lavorare anziché le attuali 14 ore settimanali di media le 38 ore che tra studio e nuove Case di Comunità vi imporrebbe il “Piano Speranza” finanziato dal Pnrr». Un accordo che priverebbe però gli assistiti di maxi-ambulatori aperti sette giorni su sette, spingendoli ancora una volta a intasare i pronto soccorso.