UDINE. Inevitabili contatti fisici scambiati per maliziosi strusciamenti e arredi di altezza e dimensione incompatibili con la rappresentazione dei fatti proposta da alcune ragazze.
È sulla base della “ricostruzione scenica” dei luoghi dell’Isis “Stringher” in cui, fino a qualche anno fa, un insegnante di 64 anni, residente nell’hinterland udinese, non avrebbe esitato ad abusare di 13 allievi (12 ragazzine e un ragazzino), che l’ingegner Giuseppe Monfreda, giovedì 8 settembre sentito davanti al tribunale collegiale presieduto dal giudice Paolo Alessio Vernì, in qualità di consulente della difesa, rappresentata dall’avvocato Stefano Comand, ha concluso per la «non genuinità» di alcuni racconti.
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A cominciare da quelli di chi li aveva collocati nella sala bar, dove gli studenti venivano preparati a lavorare tra il bancone del buffet e quello del caffè.
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Dopo di lui, a sollevare dubbi rispetto all’interpretazione dei fatti, così come contestati dal pm Elena Torresin, è stato il professor Giuseppe Sartori, a sua volta consulente della difesa. «Confondibilità del fatto, contagio dichiarativo e rilettura a posteriori: in questo caso – ha detto – sono questi i fattori di distorsione più marcati».
Il processo, che ipotizza la violenza sessuale e le molestie, proseguirà il 3 novembre.