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Inseguendo Caravaggio



A Ragusa viene esposto un San Giovanni giacente il cui autore è ritenuto Michelangelo Merisi. Il critico di Panorama rilancia. Con un’attribuzione certa di un’altra versione dello stesso soggetto.


Stimolato dagli insistenti conati caravaggeschi di Ragusa, che presenta, nella Chiesa della Badia, un «giacente» San Giovannino, ho ripreso a studiarne con attenzione la vicenda attributiva sostenuta da una illustre studiosa di Caravaggio, Mina Gregori, e da una valente restauratrice, Roberta Lapucci, presso il cui studio vidi per la prima volta il dipinto. Nel dubbio non mi sono pronunciato, arrivando alla conclusione che l’idea, certamente di Caravaggio, rimandasse a un originale perduto, coinvolgendo nel giudizio limitativo l’altro noto e studiato esemplare del dipinto, conservato a Monaco. Ecco le mie considerazioni in un’intervista a Video Mediterraneo: «Io ho detto, sin dal primo giorno, quando ho visto questo quadro esposto a Camaiore, che non ne avrei scritto, infatti non c’è un mio saggio. Ho fatto un articolo in cui dico che l’opera è molto interessante, e come di altre opere di Caravaggio - della Maddalena se ne conoscono nove, del San Francesco se ne conoscono dieci - di questa si conoscono due versioni. Si vede un’opera interessante per gli studi, perché testimonia una invenzione di Caravaggio. La ricetta è di Caravaggio. La mano di un artista è come quella di un sarto, di un cuoco. Qui siamo davanti alla derivazione da un’opera di Caravaggio, probabilmente perduta, di cui non conosciamo l’esistenza, e il cuoco che l’ha fatta non è Caravaggio».

Seguivo la logica del principio dell’originale perduto. Ma sbagliavo, perché, se non in riproduzione, l’esemplare di Monaco non lo avevo mai visto dal vivo. E credo che solo il confronto, ravvicinato o a distanza, possa consentire un giudizio certo. Sarebbe stata la condizione migliore, anche per la mostra di Ragusa, mettere a confronto i due dipinti. Questa opportunità è toccata solo ad alcuni studiosi che si sono misurati con entrambi. Ho ritenuto quindi necessario prendere visione anche del dipinto di Monaco partendo dalle osservazioni degli stessi che si sono pronunciati per il San Giovannino esposto a Ragusa: Mina Gregori e Roberta Lapucci. La prima scriveva, avendolo visto negli anni Ottanta: «Vari stringenti argomenti consentono di riferire al Caravaggio il San Giovannino qui esaminato. Conosco l’opera da molti anni e fin da principio l’ho considerata del grande lombardo. La presentazione del santo semidisteso è inconsueta nell’iconografia tradizionale e suggerisce l’intento del pittore di esaltare in modo diverso dai formalisti del Cinquecento la figura del giovane, in parte avvolto nell’elegante panneggio rosso, dalle pieghe particolarmente curate. A contrasto con tale esibizione il corpo del giovane appare nell’alternarsi di luci e di ombre che lo pongono in evidenza o lo celano... L’opera è singolare, come si è detto, anche per l’attenzione rivolta al panneggio, sul quale il pittore indaga in modo analogo a quanto si nota nel San Giovanni Battista della Galleria Borghese, riconosciuta opera tarda del pittore lombardo. L’importanza del dipinto come originale del Caravaggio è confermata dalla constatazione che la posizione del braccio destro è stata ripresa dal pittore spagnolo Juan Bautista Maino, che fu a Roma nel primo decennio del Seicento. Nel 1611 era già rientrato in patria. Nel quadro della pittura spagnola degli inizi del Seicento il Maino risulta come seguitatore spagnolo del Caravaggio. Il suo collegamento con il maestro italiano è evidente ed è confermato da questo dipinto che appartiene a una collezione privata. L’acquisizione del San Giovanni Battista disteso rappresenta un’importante aggiunta al catalogo delle opere del Caravaggio».
La seconda, in una scheda tecnica del 1991, riferendosi al restauro compiuto da Pico Cellini tra 1977 e 1978, i cui esiti furono pubblicati nel 1987 nella monografia su Michelangelo Merisi detto il Caravaggio di Maurizio Marini, conclude convintamente: «Si osservano splendide pennellate di biacca (lunghe e decise) nel lembo del panneggio rosso che corre sotto il corpo del santo; esse presentano strette analogie di esecuzione con le cadute di stoffe del San Gerolamo Borghese e della Resurrezione di Lazzaro di Messina. La posa del santo ricorda da vicino quella della Vergine della Natività di Messina... Nei particolari relativi al volto si può osservare che la fronte era stata dipinta scoperta ed è stata successivamente nascosta dalla frangia di capelli. È questa una caratteristica che è emersa dall’esame radiografico e riflettografico del volto del San Giovanni Battista della Galleria Corsini di Roma».

Conforta questa attività di restauro e diagnostica la relazione di Carlo Giantomassi e Donatella Zari: «Tipica del Caravaggio è la costruzione della figura con spostamenti (che interessano, come nota giustamente Marini, l’avambraccio sinistro) e aggiustamenti. Le falangi della mano sinistra risultano allungate: come non notare che le mani sono pressoché identiche a quelle del San Giovannino Borghese, con dita molto affusolate, quasi innaturalmente allungate; e che la spalla, probabilmente interessata da un pentimento, perché forse il pittore aveva pensato il lembo della pelle di agnello, presenta una curiosa deformazione visibile anche sul dipinto della Galleria Borghese? Anche il ginocchio appuntito e il piede destro estremamente allungato appaiono vicinissimi a quelli della tela Borghese, mentre i tratti fisiognomici del volto rivelano che si tratta dello stesso modello. Quale pittore, se non Caravaggio in persona, avrebbe potuto ritrarre o ricordare il medesimo modello usando quella stessa atipica preparazione?».
A queste approfondite e impegnative affermazioni si affiancano le posizioni favorevoli all’autografia caravaggesca di John T. Spike (1988), Stephen Pepper (1988), Vincenzo Pacelli (1991), Leonard J. Slatkes (1992), Federico Zeri (1998), Peter Robb (1998), Rossella Vodret (1999), Gabriele Finaldi (2009), Bert Treffers (2010), Fabio Scaletti (2014), Sergio Benedetti (2018), Sergio Rossi (2022).
Quest’ultimo, nel saggio Caravaggio allo specchio tra salvezza e dannazione, mi coinvolge: «L’opera, come ha scritto Vittorio Sgarbi per l’Ecce Homo di Madrid, si attribuisce da sola, tanta è la sua pregnanza visiva, e perché il rosso sangue del manto del Battista è analogo a quello del drappo che ricopre le gambe del santo nella Decollazione della Valletta, a quello della veste della Vergine nell’Adorazione dei Pastori di Messina, al drappo dell’altro San Giovannino (o Pastor friso) dei Musei capitolini, e infine a quello del manto di Sant’Orsola del coevo quadro ora a Palazzo Zevallos-Stigliano di Napoli e costituisce una sorta di firma inconfondibile dell’ultimo Caravaggio».
Alcuni, come il Treffers, si sono spinti a pubblicare il San Giovannino in copertina dei loro studi. In ogni caso queste posizioni mi hanno imposto di tornare a vedere la favorita versione di Monaco.
A una visione diretta, i valori plastici e la vivezza cromatica del panneggio rosso confermano le parole di Rossi. E così il naturalismo lunare delle parti ignude. Interessante è anche la presenza della vegetazione sul fondo per restituire veridicità all’ambientazione. Né mette conto, rispetto alla versione di Ragusa, il riferimento alla croce ai piedi della figura, come è descritta in un inventario Medici del 1691, motivo non determinante, dal momento che i «piedi» possono non essere intesi alla lettera ma come «a terra». In definitiva il mio scetticismo, che coinvolgeva entrambe le versioni, si può correggere nella convinzione che il San Giovannino di Monaco sia l’originale caravaggesco. Sul quadro esposto ora Sicilia - meno studiato - attendiamo gli esiti del Simposio annunciato, che consentiranno un giudizio definitivo anche al curatore della mostra Pierluigi Carofano.

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