Il 21 luglio del 1960 si fermò un’auto. Scese una splendida donna che era già un’attrice famosa
MANTOVA. Una data da segnare sul calendario, 21 luglio 1960. Santo del giorno San Lorenzo da Brindisi, comunque morto a Lisbona il 22 luglio 1602, forse avvelenato. A Ostiglia, dove s’infila la Statale 12 Brennero-Abetone, sulla strada c’è il bar Pappagallo. È già notte, l’ora di tirare giù la serranda, due clienti tardano invece ad andarsene. Un’auto di grossa cilindrata si ferma di rimpetto al locale, scendono una donna alta e slanciata con indosso una gonna nera, una camicetta bianca con abbondante scollatura e un golf sulle spalle. È accompagnata da due uomini, uno basso e più anziano, l’altro giovane e mingherlino.
Bruna Tombolani rinuncia a chiudere rimanendo tra l’altro colpita da quegli insoliti avventori, inevitabilmente turisti occasionali. La figura, il volto e gli occhi di quella donna le sembrano familiari, di una già vista. Si siedono sugli sgabelli davanti al bancone.
Lei con un sorriso ordina un cognac con ghiaccio, gli uomini due caffè. La barista appare imbarazzata da quelle presenze e soprattutto dalla ragazza che avrà più o meno ventiquattro o venticinque anni, le ricorda qualcuno. Quello giovane – potrebbe apparire l’autista – aumenta il suo imbarazzo rivolgendole la parola. «È sicura di non averla proprio riconosciuta?». «Forse è un’attrice, devo averla vista al cinematografo, certo che assomiglia a Sophia Loren».
I due uomini si lanciano sguardi d’intesa con reciproci sorrisetti. «Smettete di fare gli asini… Sì sono proprio io», con un sorriso, porgendo la mano alla signora Bruna, dalla sua bocca esce un “piacere”.
I due ritardatari non le tolgono più gli occhi di dosso e chiedono autografi. L’uomo più giovane va all’auto e prende un pacco di fotografie formato cartolina della diva, perché vi apponga la sua firma. In un batter d’occhio la voce gira e, a quell’ora, il locale si riempie di curiosi. Per nulla infastidita l’attrice si fa dare un grembiule e si mette dietro il banco a servire i clienti.
Già, perché Sofia Costanza Brigida Villani Scicolone era figlia di un’insegnante di pianoforte e del rampollo Riccardo, marchese siciliano. La madre due anni prima della nascita di Sofia aveva vinto un concorso per Hollywood come sosia di Greta Garbo, ma dovette rinunciare per l’opposizione dei suoi genitori.
Nel dopoguerra sua nonna Luisa aprì un locale vendendo liquori fatti in casa: mentre la madre suonava il piano e Maria cantava, lei serviva ai tavoli e lavava stoviglie, clienti in prevalenza soldati americani. A quindici anni la sua bellezza non passava inosservata e vinse il primo concorso. Si trasferì a Roma nonostante l’opposizione del padre naturale che rifiutava una sua possibile carriera nel mondo dello spettacolo, tanto da presentare una denuncia nel luogo dove abitavano per una presunta attività di prostituzione.
Nella capitale si presentò a diversi concorsi, nel 1950 anche a Miss Italia, eletta così Miss Eleganza. Ciò bastò per fare fotoromanzi con il nome di Sofia Lazzaro, qualche comparsata in pellicole, in virtù della sua bellezza scultorea, un programma radiofonico con la sua voce (per decenni al cinema poi venne doppiata) con Corrado Mantoni.
Poi la svolta nel 1951, il produttore Carlo Ponti la volle come segretaria, amante e moglie. Tra sceneggiatori e registi correva voce, se si andava dal potente produttore cinematografico, che era pericoloso rivolgere la parola alla segretaria o spogliarla con gli occhi – cosa che era difficile non fare – vista la sua avvenenza: costava un inevitabile giudizio negativo dell’impresario.
Dal 1953 i primi film importanti fino a quelli diretti da De Sica che alla fine saranno otto. Quando dovrà girare con Marcello Mastroianni un occhio discreto vigilerà sul set. Lei rimarrà sempre fedele al suo Carletto, nemmeno una chiacchiera o una spifferata, come avrebbero voluto i rotocalchi.
In quell’anno, il 1960, ha appena finito di girare “La ciociara” di Vittorio De Sica con cui vincerà una pioggia di premi internazionali. Sugli schermi mantovani appare il 29 dicembre al cinema Apollo: poi l’Oscar il 9 aprile 1962 a Santa Monica – presentava Bob Hope – per la migliore interpretazione femminile, una statuetta consegnata in altre mani – lei non c’era – da Burt Lancaster. Nessuno se lo aspettava.
Passata più di un’ora è il momento di ripartire per Roma. Lei promette – promessa da marinaio o di cortesia – che in agosto, quando si recherà alla Mostra del cinema di Venezia, si fermerà di nuovo.