Мы в Telegram
Добавить новость

Пластический хирург, косметолог и дерматолог Мадина Байрамукова: как правильно спать, чтобы не было морщин

ТНТ покажет сериал «Ткачёвы на связи» с Мариной Васильевой, Максимом Лагашкиным, Ингой Оболдиной и Андреем Федорцовым

Международный форум БРИКС проходит в Москве

Свердловские мотогонщики в топе первого этапа чемпионата России по суперкроссу

World News


Новости сегодня

Новости от TheMoneytizer

Daniele Mencarelli, finalista del Premio Strega 2020: «Le parole che fanno più male degli schiaffi»

A poche ore dalla finale del Premio Strega 2020, il vincitore dello Strega Giovani Daniele Mencarelli, autore del libro «Tutto chiede salvezza», pubblicato da Mondadori, parla dell'inizio delle sue dipendenze da sostanze e alcol, del TSO al quale è stato sottoposto nel 1994 e della libertà e dell'amore come le spinte più importanti che ci tengono in vita
Daniele Mencarelli
Daniele Mencarelli

Il momento in cui Daniele Mencarelli «si è ferito con tutta la vita che poteva» è fissato in una piega del tempo che l’autore sceglie di rivangare con il coraggio dell’esploratore, con la lucidità del poeta che non tralascia il più piccolo dettaglio di quella tempesta che a 17 anni lo travolge come un’onda anomala e che lo tormenta per più di un quinquennio. «Gli anni più pesanti vanno dalla fine del 1994, il momento immediatamente successivo al TSO, fino a tutto il 1999. Gli anni dell’alcol, dei ricoveri, degli incidenti» ricorda Daniele al telefono con voce calma e controllata. Nell’istante in cui ci sentiamo è al lago, ai Castelli Romani, insieme ai due figli di 14 e 9 anni, impegnato a spostarsi in una zona in cui il vento soffi con minor intensità: «Rispetto a mia moglie sono più permissivo sui metodi educativi: sono un giocherellone e in questi giorni siamo più in acqua che sul lettino» racconta Daniele specificando che alla finale del Premio Strega che lo vede gareggiare insieme a Sandro Veronesi, Gianrico Carofiglio, Valeria Parrella, Jonathan Bazzi e Gian Arturo Ferrari non lo accompagneranno né la consorte né la prole. «Per via del distanziamento, al Ninfeo quest’anno entreranno solo 80 persone rispetto alle 1000 delle edizioni precedenti. Poi è anche una questione di scaramanzia».

Il 9 giugno scorso, infatti, Mencarelli era solo quando ha scoperto non solo di essere finalista del Premio con il suo romanzo Tutto chiede salvezza, pubblicato da Mondadori, ma anche di essere il vincitore dello Strega Giovani, riconoscimento che l’autore dedica a tutti i ragazzi sotto TSO, il trattamento sanitario obbligatorio che è toccato anche a lui nel 1994 a seguito di un’esplosione incontrollata di rabbia che, per una settimana, lo costringe in uno stanzone insieme a cinque pazienti più grandi di lui e con dei trascorsi nella malattia mentale più profondi di quanto non fossero i suoi. Tutto chiede salvezza parla di questo: di quei sette giorni di isolamento nei quali Mencarelli scopre che la fratellanza aiuta a osservare il dolore con maggiore lucidità, che la gioia dell’incontro attutisce, anche se per poco, il peso dell’esistenza, la burrasca che rimbomba nella scatola cranica e che genera ansia, tristezza, speranza. Il romanzo, intenso e bellissimo, è la seconda parte dell’esperienza personale che Mencarelli racconta per la prima volta nel 2017 ne La casa degli sguardi, sempre edito da Mondadori: ai due libri ne seguirà un terzo, attualmente in lavorazione, nel quale Daniele chiuderà un cerchio, toccando così tutti i temi più cari della sua produzione poetica e letteraria, ossia la libertà, l’amore e la bellezza.

Allo Strega ci arriva molto «sciallo», come si dice a Roma.
«La vittoria più grande per me è stata lo Strega Giovani. Lavoro molto con le scuole ed è importante rivolgere l’attenzione a chi ha l’età dei votanti del Premio, tra i 16 e i 20 anni. L’ho detto anche durante il tour: se potessi, alla finale verrei in infradito, immaginando tutto il carico che c’è su autori come Carofiglio e Veronesi. Assieme a chi vincerà lo Strega, io ho già un libro fascettato, e mi va bene così. Sono uno che va molto per obiettivi concreti».

In Tutto chiede salvezza scrive: «Un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato, ma semplicemente vivo». Da cosa sente il bisogno di liberarsi?
«Questa frase è la sintesi più precisa del romanzo perché racconta di un certo tipo di vitalità che oggi dà fastidio. Volevo raccontare la storia di un uomo che disobbedisce al dogma sociale della produttività e compie un percorso che se ne frega degli obiettivi gerarchici del mondo soffermandosi sulla ricerca e sulle piccole scoperte personali. È la storia di un ventenne che non ci sta a farsi raccontare troppo il mondo e che sente su di sé il dovere di intraprendere un viaggio fatto di piccole e grandi rivelazioni».

Ha scritto due libri che raccontano la sua vita senza risparmiare nulla: com’è arrivato alla decisione di mettersi così a nudo?
«Scrivere il primo romanzo è stata la cosa più complicata. A fare da contrappeso e a spingermi ad andare avanti sono stati due fattori: il primo è che oggi c’è bisogno di ragionare sulla natura dell’uomo perché si rischia di scambiare per sintomo una prova di vitalità. Il secondo è che siamo diventati i giudici straordinari dei vizi altrui dimenticandoci di essere accoglienti, bastano due o tre notizie inquinate recuperate dai social per emettere giudizi inappellabili. Al centro della mia storia c’è un “cattivo”, un protagonista che trasgredisce i vincoli della moralità e che mi fa pensare alla vetta del messaggio cristiano del “chi è senza peccato scagli la prima pietra”. L’unico vero rovesciamento rivoluzionario è, però, partire da noi stessi, dalla nostra parte più lavorata, quella su cui abbiamo più agito».

Lei si è definito un «aspirante credente». Cosa voleva dire?
«Da una parte non riesco ad avere quella fede dichiarata, praticata da tanti e che in certi momenti invidio perché è una forza straordinaria. Dall’altra non posso far finta di non aver vissuto la mia vita inseguendo da sempre le grandi domande di senso: mi sento nella terra di mezzo di chi ha una fede pienamente realizzata e di chi è alla ricerca di qualcosa in maniera molto sofferta e feroce. Dopotutto, è questa la terra dell’arte, della poesia e della letteratura, di chi sta in quella zona di vedetta dove le risposte si odorano anche se non ce le hai. Se c’è una cosa che mi irrita è l’uomo inquadrato soltanto nell’educazione, nell’ambiente, nella civiltà e nella cultura: dentro ognuno di noi c’è un’indole, qualcosa di più profondo che non abbiamo scelto e che dovremmo ascoltare. Oggi sono molto più felice di quando avevo 20, 30 o 40 anni, perché aver affrontato la mia natura e i miei sbagli mi fa sentire un uomo più completo e realizzato, con meno tabù. Non ho neinte da nascondere sul mio passato, perché l’ho offerto al lettore».

https://twitter.com/PremioStrega/status/1274804380391391235

Nel romanzo entriamo subito in contatto con questa natura disorientante, con questa tempesta in divenire. Quando inizia, però, tutto?
«A 17 anni, quando ho dichiarato guerra alla vita. Ne parlerò nel mio terzo e ultimo romanzo biografico che finirà con l’inizio, un salto ancora più indietro fino al 1991, un periodo di grande turbolenza che nasce per tentare di sfuggire a questa natura che non riesce a sottrarsi alla ricerca continua. Vivere obbedendo a questa spinta a 17 anni è molto difficile, costa fatica umana e intellettiva. Lì si è scatenato il problema più grande: non ho avuto la forza, la voglia e il coraggio di oppormi a quella realtà sociale che a quell’età è incarnata dalla cosiddetta comitiva. Preferivo recitare, obbedire a ciò che mi chiedevano in termini di disponibilità e di dialogo iniziando a seppellire la parte più profonda di me. Quando ho scoperto le droghe e l’alcol ho trovato degli alleati meravigliosi per non avere più a che fare con quella parte lì, che silenziavo grazie alle sostanze. Ho realizzato tardi che non spetta a noi uomini salvare, ed è per questo che fino a quel momento ho fatto l’esatto contrario, ossia distruggere. Partendo proprio da me stesso».

Viveva con i suoi in quel periodo?
«Ho vissuto con loro fino al 2001. Dopo aver fatto un viaggio a piedi li ho messi in crisi, ma poi sono rientrato nei ranghi per un po’. Gli anni veramente pesanti sono stati dal 1994 al 1999».

Nei ringraziamenti, il suo pensiero va proprio alla sua famiglia, «perché serviranno mille libri per pareggiare il conto». Loro cosa pensano del libro?
«Vengo da una famiglia umile nel senso più bello del termine, di lavoratori. Hanno sempre vissuto tutto in una chiave molto concreta, ragionando per traguardi. Non sottodimensionano quello che ottengo, ma cercano di ricordarmi di tenere i piedi per terra godendomi il momento, ma continuando a lavorare perché se non lavoro non ne vivrò altri».

Torno per un attimo agli anni più turbolenti della sua vita: in quel periodo non ha scritto nulla?
«Ho esordito su una rivista nel 1997, ma dopo un altro paio di pubblicazioni mi sono fermato completamente. La casa degli sguardi esiste perché è stato un modo per offrire una declinazione diversa rispetto al maledettismo, all’idea che per frequentare il mondo dell’arte occorra passare per forza per qualche sostanza: ho conosciuto tanti esseri umani brillanti massacrati dalle sostanze, dall’alcol. In quel periodo non riuscivo più a scrivere non solo dal punto di vista creativo, ma anche meccanico, non tenevo una penna in mano, non mi concentravo su nulla. Mi sono riappropriato di questa possibilità meravigliosa grazie al lavoro al Bambin Gesù che racconto nel mio primo libro: fino ad allora ho vissuto anni di vuoto pneumatico dove, a parte bere, sono riuscito a fare molto poco».

In entrambi i libri che ha scritto è come se ci fosse una sorta di fratellanza del dolore: insieme si è più forti, quindi?
«È una cosa che ha delle piccole e grandi analogie con il periodo che abbiamo vissuto per via del Covid: dentro quella dimensione dell’imprevisto, della paura e del dolore ci siamo riscoperti negli altri. Io non mi sono salvato da solo. A salvarmi sono stati tutti quelli a cui ho chiesto aiuto, non solo la mia famiglia, ma anche gli sconosciuti, le persone che mi hanno accolto o nel lavoro, o dentro la stanza di reparto psichiatrico, o mettendomi a disposizione un letto e una colazione come racconterò nel terzo romanzo. La cosa più bella è che l’aiuto non lavora mai solo nella direzione di chi lo ha chiesto, ma anche di chi lo dà. Gli altri non sono monoliti che reagiscono sempre nello stesso modo: siamo anche noi con la nostra richiesta a realizzare questa meravigliosa alchimia che è l’incontro, scoprire qualcosa assieme».

A proposito di incontro: lei durante il TSO condivide l’esperienza con 5 compagni di stanza. Li ha più rivisti da allora?
«L’unico che rivedo, e mi vergogno quasi a dirlo perché sembra inverosimile, è Alessandro, quello che in quella stanza stava più male di tutti. È da vent’anni che faccio il pendolare e una mattina, passando per Castel Gandolfo, lo vedo alla fermata del Cotral con la sigaretta in mano, i capelli più lunghi, ingrassato, della stazza tipica di chi usa parecchi psicofarmaci. La cosa terribile è che è sveglio, vive come un essere umano, ma gli occhi sono ancora quelli di chi si è perso, di chi vive in un altrove che chi è sano non riesce a cogliere».

I matti, scrive lei, sono come i poeti perché «nessun può dire loro cosa guardare e come guardarlo».
«Se ci pensa, la radice di guardare è la stessa di guardia. Alcune persone guardano e contemporaneamente stanno di guardia vivendo con grande attenzione quello che gli è dato da vivere e che accade davanti ai loro occhi. Da una parte c’è lo sguardo innamorato di chi si sente legato a quello che ha di fronte, e dall’altra agisce la libertà, una specie di maleducazione, qualcosa che non ti fa obbedire a quello che gli altri vorrebbero che tu guardassi. Guardiamo nel modo e nell’intensità che scegliamo noi».

Pensa mai a come reagiranno i suoi figli quando saranno abbastanza grandi da leggere la sua storia?
«Con il primo romanzo ho fatto quasi 15mila chilometri in giro per l’Italia attraverso viaggi infiniti in treno, e i miei figli sono stati al mio fianco almeno a una cinquantina di presentazioni, spesso anche di fronte a ragazzi di comunità, che stavano affrontando quel percorso difficile che è la disintossicazione. I miei figli sanno tutto di me, sanno che sono un uomo che ha vissuto tante cose non belle e che magari un giorno tornerà a soffrire come ha sofferto in passato, pur non ricadendo nelle sostanze e nell’alcol. Hanno consapevolezza di questa mia fragilità e sanno che in me troveranno sempre un appoggio e mai un censore».

Nell’ultimo anno e mezzo si comincia a parlare in maniera più serie delle dipendenze dei più giovani dalle sostanze come il Fentanyl, un farmaco che ha infiammato il discorso negli USA. Cosa ne pensa?
«È finita la stagione in cui la dipendenza era inquadrata da un punto di vista sociale, legale e giudiziario come era negli anni Novanta. Oggi quel confine che io sentivo ridicolo già all’epoca non c’è più e, al di là del fatto che ognuno ha il diritto e il dovere di fare quello che vuole, è venuta meno una certa contrapposizione ideologica. Oggi, per dire, alcuni ragazzi partono dallo Xanax rischiando di maturare delle dipendenze che partono dal nucleo famigliare, utilizzando di nascosto le sostanze che utilizzano i genitori».

Lei, invece, da quali sostanze era dipendente all’epoca?
«Ho vissuto la grande stagione delle sostanze illegali, l’esplosione delle droghe chimiche. Nella primissima fase mi dedicavo alle droghe leggere tipo l’Ecstasy, ma era ancora un consumo ludico. Attorno ai 20, dopo l’estate del TSO, ho iniziato ad allontanarmi dal mio gruppo che, nel frattempo, aveva iniziato a fare uso di cocaina, che consumai da solo per un anno, un anno e mezzo, al punto da diventarne dipendente. I miei se ne accorsero, scattarono una serie di aiuti a livello sociale e istituzionale fino a quando non caddi in quella che in termini chimici viene definita una dipendenza di ripiego, ossia l’alcol, una sostanza assolutamente legale, una piaga che ancora oggi molto spesso si sottovaluta. Negli anni successivi la mia vera dipendenza è stata quella».

https://twitter.com/PremioStrega/status/1274032295880675328

Nadia Terranova ha detto che scrivere non guarisce, ma che aiuta a prendere atto del proprio dolore e dei propri problemi. È d’accordo con questa mancata visione salvifica della scrittura?
«Sono d’accordissimo con la Terranova e aggiungo una cosa per quanto riguarda il mio caso. Nel 2001, quando ho chiuso con l’alcol e ho iniziato l’esperienza che ho raccontato nel mio primo romanzo, ho subito una svolta umana e professionale che, da ragazzo alcolizzato che faceva l’operaio in ospedale, mi ha portato a scrivere un libro di poesie pubblicato come strenna istituzionale dall’ospedale per il Natale del 2000, a conoscere una giovane dirigente Rai che mi ha portato a lavorare con lei e a incontrare l’anno dopo mia moglie, con la quale convivo per poi sposarmi nel 2006. Iniziai una fase molto borghese della mia vita che, come succedeva con miei amici adolescenti, mi imponeva una recita molto più formale, strutturale e remunerativa. Quell’esperienza tragica non doveva entrare lì, doveva rimanere fuori. Mi sentivo come un uomo che continuava a tradire la sua natura ed è per questo che ho voluto offrire queste storie ai lettori: sotto sentivo non una guarigione, ma una possibilità di maggiore messa a fuoco di quelle esperienze. Volevo consegnare al mondo una volta per tutte quella che era la mia natura che, obbedendo a seduzioni diverse, ho sempre cercato di nascondere. Oggi non è più così, anche grazie alla scrittura».

Prima ha anticipato qualcosa sul suo terzo e ultimo romanzo biografico: il concetto cardine sul quale si svilupperà?
«Su quanto la bellezza scardini la nostra relazione con il mondo. La bellezza quasi ti obbliga a fare un percorso personale, a cercare. Quando la vivi, ti senti partecipe di tutto, non senti più la distanza tra te e quello che c’è intorno, e sarà questa la spinta, insieme alla libertà e all’amore, dalla quale partirò».

Ho notato che lei non è iscritto su nessun profilo social. Come mai?
«È stata una scelta di qualche anno fa che non so se continuerò a mantenere in futuro. Per ora si tratta di una piccola battaglia vinta, visto che sono convinto che i libri viaggino da uomo e uomo, un tempo si chiamava passaparola, ora viralità. Avendo delle difficoltà di gestione anche per via delle dipendenze, ho paura di finire come tanti amici poeti che insegnano Italianistica all’università e poi vanno in crisi se hanno un like in meno. Io, probabilmente, sarei come loro. Senza contare l’importanza e il peso che hanno le parole: nella mia vita tante parole hanno fatto più male di tanti schiaffi».

(Foto di apertura di Guido Fuà)

LEGGI ANCHE

Jonathan Bazzi, finalista del Premio Strega: «Vincere? Lo troverei eccessivo»

LEGGI ANCHE

Premio Strega 2020: i finalisti

LEGGI ANCHE

Nadia Terranova: «La felicità che mi mette ansia»

Читайте на 123ru.net


Новости 24/7 DirectAdvert - доход для вашего сайта



Частные объявления в Вашем городе, в Вашем регионе и в России



Smi24.net — ежеминутные новости с ежедневным архивом. Только у нас — все главные новости дня без политической цензуры. "123 Новости" — абсолютно все точки зрения, трезвая аналитика, цивилизованные споры и обсуждения без взаимных обвинений и оскорблений. Помните, что не у всех точка зрения совпадает с Вашей. Уважайте мнение других, даже если Вы отстаиваете свой взгляд и свою позицию. Smi24.net — облегчённая версия старейшего обозревателя новостей 123ru.net. Мы не навязываем Вам своё видение, мы даём Вам срез событий дня без цензуры и без купюр. Новости, какие они есть —онлайн с поминутным архивом по всем городам и регионам России, Украины, Белоруссии и Абхазии. Smi24.net — живые новости в живом эфире! Быстрый поиск от Smi24.net — это не только возможность первым узнать, но и преимущество сообщить срочные новости мгновенно на любом языке мира и быть услышанным тут же. В любую минуту Вы можете добавить свою новость - здесь.




Новости от наших партнёров в Вашем городе

Ria.city

«OTTA-orchestra» и оркестр филармонии Подмосковья 2 июня приглашают на концерт

Загадка Тунгусского метеорита: 100 лет спустя

Какие городские фестивали пройдут в июне в рамках проекта «Лето в Москве»

Поддержка проектов в области культуры и искусства

Музыкальные новости

Посол Антонов: Байден оскорбляет весь народ России в нападках на Путина

Бурятский театр кукол "Ульгэр": Россия, Культура, Театр, Дети, Новости - выступление в Иволгинском буддийском дацане на конкурсе по бурятскому языку

Афиша театра кукол Бурятии "Ульгэр": Россия, Культура, Театр, Дети - Спектакль "Курочка ряба"

Сотрудники Росгвардии обеспечили безопасность транспортировки ракеты-носителя «Союз-2.1б» и грузового корабля «Прогресс МС-27» на космодроме «Байконур»

Новости России

Поддержка проектов в области культуры и искусства

Международный форум БРИКС проходит в Москве

Свердловские мотогонщики в топе первого этапа чемпионата России по суперкроссу

Синоптик предупредила о тополиной метели в Москве

Экология в России и мире

Ballet Seasons: новая капсула SELA, вдохновленная миром балета

Количество пользователей-инвесторов на платформе «Атомайз» превысило 72000

Славный Пушкин

Что я увидела в экспедиции Малая Вишера — Мста — Окуловка? Часть 1: Аракчеевский городок

Спорт в России и мире

Касаткина опустилась на 13-ю строчку в рейтинге WTA, Рахимова поднялась на 18

Россиянка Рахимова вышла в полуфинал турнира WTA в Рабате

Теннисистка Мария Шарапова снялась в красном облегающем платье

Теннисист Рублев объяснил, почему проиграл сет в первом круге "Ролан Гаррос"

Moscow.media

Hybrid вышла на рынок Мексики

Брат главы Ингушетии арестован за махинации с деньгами для пенсионеров

Hybrid вышла на рынок Мексики

Судебных экспертов прогнали из "хабибуллинского" недостроя в Екатеринбурге











Топ новостей на этот час

Rss.plus






«OTTA-orchestra» и оркестр филармонии Подмосковья 2 июня приглашают на концерт

Доллар на Мосбирже рухнул ниже 89 рублей

Поддержка проектов в области культуры и искусства

ТНТ покажет сериал «Ткачёвы на связи» с Мариной Васильевой, Максимом Лагашкиным, Ингой Оболдиной и Андреем Федорцовым