Lina è di origine colombiana, nata in un piccolo paese del Manizales nel 1972. È partita a 19 anni dalla Colombia per arrivare in Italia con il sogno di un lavoro e una vita più facile di quella che aveva nel suo Paese. Così è stato, almeno in parte. In Italia Lina ha vissuto per 20 anni anche se i suoi quattro figli non sono sempre stati con lei: vivevano fra Colombia, Europa e Usa.
Lina in Italia ha avuto dei problemi con la legge ed è stata incriminata per alcuni reati. Quando pensava di aver risolto tutto, ha scelto di tornare in Colombia, insieme a suo marito sposato in Italia, per riunirsi con la sua . Rientrata nel suo paese nel 2012, nel 2018 ha scoperto di avere un tumore alla testa e per curarsi decide di rientrare in Italia.
Qui è stata incarcerata per quasi tre anni: la sua situazione giuridica non si era chiusa positivamente ma lei non ne era a conoscenza. In carcere è stata curata e ha trovato sostegno soprattutto in Made in carcere – Officine Creative, una cooperativa sociale, fondata dalla manager Luciana Delle Donne, non a scopo di lucro che insegna alle detenute a confezionare manufatti, con lo scopo di un definitivo reinserimento nella società lavorativa e civile.
In carcere Lina ha imparato a cucire, oggi è una bravissima ricamatrice. Durante la detenzione, ha coltivato la sua passione più grande, la cucina e il primo ottobre Lina ha tenuto uno show cooking presso la sartoria sociale di Lequile (Lecce) in occasione della manifestazione «Non sono un murales», organizzata da Acri in occasione della Giornata Europea delle Fondazioni.
Made in Carcere ha deciso di partecipare alla manifestazione con il progetto BIL (Benessere Interno Lordo), sostenuto da Fondazione con il Sud e dedicato al reinserimento lavorativo degli ex detenuti. Durante lo show cooking verrà svelato il murales protagonista della manifestazione e dedicato al concetto di «prendersi cura dell’altro».
Lina, come ha reagito al carcere appena rientrata in Italia?
«Nel 2012 sono tornata di nuovo nel mio paese dopo essermi sposata. Avevo deciso di vivere lì e riunirmi con i miei figli. Purtroppo nel 2018 in Colombia ho scoperto di avere un tumore (era la seconda volta che tornavo, la prima volta ero riuscita a sconfiggerlo proprio in Italia). Ho deciso di tornare in Italia per curarmi perché la sanità in Colombia non è efficiente e non riuscivo neanche a fare gli accertamenti di cui avevo bisogno, figuriamoci le terapie necessarie. Tornata in Italia ho rinnovato i documenti e ho scoperto di avere un definitivo di 2 anni e mezzo. Lo stesso giorno in cui ho scoperto questa cosa mi hanno portato in carcere. Una realtà a me sconosciuta, un mondo diverso, non mi ero mai trovata in un contesto così e inoltre ero malata, quindi la mia situazione non solo fisica, ma anche psicologica, era estremamente difficile. Ero molto confusa, non sapevo cosa fare e non sapevo se sarei sopravvissuta».
Cosa ti ha aiutata?
«In carcere ho sentito le altre detenute parlare di Made in carcere -Officine creative dove si facevano corsi per imparare a cucire, a realizzare manufatti e inoltre si poteva anche lavorare. Iniziai un corso di nove mesi. Ero brava e iniziai a lavorare con la ditta, mi sono trovata benissimo, ho vissuto un’esperienza bellissima. La fondatrice di Made in Carcere, Lucia Delle Donne è una persona speciale, io la ringrazio tutti i giorni della mia vita. È grazie a questa attività che sono uscita viva dal carcere. In Made in carcere era un altro mondo, non ti sentivi in carcere. C’era vita, c’era speranza, c’era la voglia di cambiare le cose. Per me se non fosse stato per quell’esperienza non credo sarei andata avanti. Ancora oggi continuo a lavorare con loro».
Come ha vissuto la malattia in carcere?
«In carcere in Italia sono stata curata bene, ho potuto fare tutti gli accertamenti necessari. Ho anche potuto fare la prima dose di vaccino covid-19. Il carcere mi ha fatto crescere. Ho visto tanta disperazione, tanta mancanza di amore, ma anche tantissimi talenti nascosti, persone brave anche se hanno sbagliato, persone buone».
Cosa si porta dentro di questa esperienza?
«Voglio lanciare un messaggio ai giovani: usate la testa! Cercate di evitare errori così gravi da portarvi in carcere perché l’esperienza che ho avuto io, la possibilità di dare una svolta alla mia vita, non viene concessa a tutti».
Oggi è felice?
«Oggi i miei figlia abitano tutti lontano da me, ma appena posso li raggiungo e li vado a trovare e con loro sono felice. Due figlie abitano in Colombia, uno in Germania e l’altro negli Usa. Ho in totale 8 nipotini, adesso sono felice, ho una famiglia bellissima e, anche se non siamo tutti vicini, io mi sento amata. Il carcere mi ha fatto apprezzare di più la vita».