C’è chi l’ha conosciuta di recente per Il racconto dell’ancella (Ponte alle Grazie) e chi la segue da una vita intera perché è stata candidata più volte al Premio Nobel della letteratura. Comunque sia, la scrittrice canadese Margaret Atwood, di ritorno in Italia in occasione della vittoria del Premio Speciale Lattes Grinzane 2021, non lascia indifferenti fin da quando appena ventenne ha debuttato come poetessa. Oggi il suo romanzo più celebre è una serie tv cult, The Handmaid’s Tale (su TIMVision): racconta, con estrema potenza visiva, la condizione della donna in un futuro distopico dominato da una teocrazia misogina. E ora, dal palco del riconoscimento, racconta alla stampa le sue idee sulla vita, sui problemi sociali e su alcune idee che forse possono sembrare controcorrente e controverse, ma che aprono un dibattito validissimo.
Il racconto dell’ancella ha anticipato situazioni al femminile che pensavamo fossero solo fantascienza, poi nella quarta stagione della serie vediamo la protagonista Jude esplodere di rabbia e dar sfogo a comportamenti da molti considerati discutibili. In lei rivede la rabbia delle donne?
«Non è solo la rabbia delle donne, ma come le esperienze le hanno cambiate. Sono vecchia abbastanza da conoscere signore che hanno partecipato alla Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale e tutte dicono proprio questo. Una polacca mi ha esortato una volta dicendo: “Prega di non avere mai l’opportunità di essere un eroe”. Ha ragione perché quell’atto di coraggio nasce da una situazione di crisi, ma l’importante è non dimenticare mai cosa ha spinto a manifestare quella rabbia ossia lo slancio verso giustizia ed equità».
Se pensiamo alle donne afghane, il suo romanzo è stato quasi profetico, cosa ne pensa?
«Mi trovavo proprio nel loro Paese pochi giorni prima che s’innescassero gli eventi che noi tutti conosciamo e so per esperienza che non sempre i cambiamenti sono positivi, a volte sono passi indietro. Non è come nel regno di OZ con il suo bel sentiero di mattoncini. E la situazione delle donne resta delicata. Ricordo ancora un cartello della marcia del 2017 che diceva di essere stanca di protestare per le stesse cose di decenni prima».
Oltre alla condizione femminile quali altri temi le stanno a cuore?
«L’economia, l’emergenza ambientale e la condizione delle popolazioni indigene, temi cruciali e connessi per la salvaguardia del mondo».
In questi giorni in Italia imperversa una polemica sulla statua della Spigolatrice di Sapri ritenuta poco rispettosa perché discinta, cosa ne pensa?
«Non capisco perché cambiare i fatti storici, non penso che una lavoratrice dell’epoca andasse in giro così vestita o nuda, ma è la rappresentazione che ne fa l’uomo vale a dire di una sexy lady».
Lei un tempo si era definita una “cattiva femminista”, la pensa ancora così?
«Non mi sono mai considerata tale ma comunque per essere femminista “basta” rispettare la verità e lottare per capire cosa sia. Oggi le opinioni vengono spacciate per fatti ma a volte la disinformazione è pilotata da chi vuole venderti qualcosa che non vuoi comprare o da chi intende destabilizzare il sistema mettendo i cittadini uno contro l’altro, come sta succedendo ora negli Stati Uniti. E se crei anarchia e caos allora trovi terreno fertile per le dittature che promettono di mettere fine al disordine».
Lei crede che si possa trovare verità nella finzione?
«Ne Il racconto dell’ancella ho sempre messo nero su bianche cose che accadono davvero nel mondo, non metto mai fantasie fine a se stesse, per quello c’è la fantascienza con navicelle spaziali e alieni, insomma prodotti come Star Wars o Star Trek. Credo invece che gli individui rispondano meglio a storie con un impatto emotivo perché ci si relazionano e trovano un impatto maggiore rispetto a numeri e statistiche».
Ha pensato d’inserire il Covid nei suoi libri?
«No perché penso dovrebbero scriverne i giovani: sono loro ad aver avuto un impatto maggiore nella vita in una fase cruciale della crescita. Io sono anziana, alla mia età non è che vado in discoteca, anche se potrei, solo che non lo faccio».
Perché durante il lockdown ha letto Dante?
«Il suo rapporto con Virginio mi sembra una potente metafora del lettore con lo scrittore. Ora so che il pubblico pretende sempre che chi scriva sia perfetto ma nessuno lo è e pretenderlo è pericoloso».