Bye bye Daniel Craig, il più longevo James Bond della storia: con No time to die si conclude il suo servizio come spia britannica su grande schermo. Il film – che non ha ottenuto il tanto desiderato “effetto wow” – arriva nei cinema italiani il 30 settembre, dopo la royal premiere londinese e l’anteprima al Festival di Zurigo.
A prescindere che il pubblico apprezzi o meno il colpo di scena finale, stavolta il suo Martini agitato e non mescolato non ha un gusto sperato, quell’allure di perfezione inarrivabile e degna del venticinquesimo lungometraggio di 007. Ci si aspetta l’eccellenza e quando non arriva allora tutto il resto sembra noia, ma, a dispetto della durata (quasi tre ore), non lo è. Di momenti sorprendenti – ma non epici – questo film sembra pieno, anche se arranca sempre per tenere il passo. Ma andiamo con ordine…
La storia
James Bond torna sul campo dopo aver lasciato precedentemente l’MI6 e si mette sulle tracce di uno scienziato scomparso, dopo una parentesi paradisiaca con la sua Madeleine (Lea Seydoux), una di quelle con grammofono e brani della Boheme in sottofondo. Il dovere – anzi l’amicizia – chiama e, quando l’ombra di Spectre torna ad incombere, lui torna sul campo, nel solito modo spettacolare con inseguimenti acrobatici e combattimenti al cardiopalma.
Viva le donne, viva
Per evitare d’incappare in rivelazioni troppo esplicite, si può navigare a vista partendo dalle “certezze” dell’universo Bond, ossia tappe spettacolari in luoghi incantevoli, che includono anche Matera, oltre alla base londinese e alle trasferte in Giamaica, Norvegia e a Cuba. Gli scenari sono diversissimi perché i toni cambiano repentinamente passando dall’action al romance come forse mai finora. Tante, tantissime donne nella storia e nessuna troppo svestita: Lea Seydoux è coperta anche a letto e durante le scene intime, per sottolineare ancora una volta la svolta femminista del franchise. Brava Lashana Lynch (Nomi), per carità, ma si può dare di più.
Quale cattivo?
Rami Malek prova ad essere il cattivissimo Lyutsifer Safin ma non fa realmente paura a nessuno, tranne forse al personaggio di Lea Seydoux, che passa da leonessa a gattino nel giro di pochi secondo. Nel suo kimono orientale si aggira ieraticamente architettando piani diabolici per affossare il mondo con un arma di sterminio basata sulla sequenza del DNA, salvo poi non capire mai perché non li metta in pratica. Christoph Waltz (Blofed) invece riesce a far tremare i polsi persino legato in gabbia, in stile Hannibal Lecter.
Occhio al romanticismo
E sì, ci piace che dietro lo sguardo glaciale di Daniel Craig emerga di tanto in tanto un cuore di panna capace di citare frasi da Baci Perugina, perché anche un po’ meno romanticismo sarebbe bastato. A volte il caro 007 perde credibilità e si distrae. Non stupisce, allora, che tra un drink e l’altro, venga rimpiazzato in un battibaleno. E non a causa del boxer attillato con cui lo si vede pescare in Giamaica a mani nude o dell’abitudine di usare lo spazzolino sotto una cascata naturale nella giungla.
Da perdere la testa
L’unica presenza che fa perdere davvero la testa è Paloma, una recluta della CIA fresca d’addestramento, che – dopo tre settimane in accademia – viene spedita sul campo per affiancarlo nell’estradizione di un ricercatore russo scomparso. Ana de Armas ha quella freschezza esotica e spiazzante di cui la saga ha bisogno per uscire dalla natfalina e stupire ancora. Le battute sul “bunga bunga” o sulla stazza di M (Ralph Fiennes) non sono proprio il massimo. Certo, questo non è il cabaret e Bond non è un comico, ecco perchè tutti ormai credano che gli unici momenti brillanti siano frutto della mente geniale di Phoebe Waller-Bridge (Fleabag). Grazie al cielo, verrebbe da dire.
Lo famo strano
Per quasi tutto il tempo Daniel Craig sfoggia un’espressione tra l’autocompiacimento (forse pensando al cachet che lo aspetta dopo 15 anni da agente di Sua Maestà) e l’alcolista anonimo in astinenza, come a dire: “La facciamo finita, vero?”. Invece no: arrivano sempre più esplosioni, più macchine veloci, più scagnozzi del crimine, più congegni tecnologici. Peccato che questo “più” non sia mai “abbastanza”.
È vero che l’italiano medio ha problemi di sospensione dell’incredulità appena Lea Seydoux viene spedita su un regionale per la Puglia, ma tutto sommato non ci si stupisce più di niente, né dell’aereo-sottomarino e nè maschera-bianca-da-film-horror, e forse il problema sta tutto qui. Il Bond di Craig è andato ben oltre la data di scadenza e No time to die, per quanto capace d’intrattenere come si fa con i bambini al luna park, diventa uno stiracchiato e forzato addio, già superato. Avanti il prossimo, please.