Ci vuole tanto allenamento per vince una medaglia olimpica, ci vuole cuore, che è la passione che porta ad allenarsi, e ci vuole testa. Senza una mente sgombera non si vince nulla. Anzi, arrivano ogni giorno nuovi demoni come quelli che hanno assalito Simone Biles ai giochi di Tokyo. «Se si guarda a tutto ciò che ho passato negli ultimi sette anni, non avrei mai dovuto essere in un’altra squadra olimpica. Sono come uno che si sveglia e improvvisamente non vede più nulla».
Il dramma olimpico dell’estate ha radici molto lontane che la pluricampionessa, olimpica e mondiale, ha raccontato in una intervista al New York Magazine. Come centinaia altre ginnaste ha rivelato di essere stata una delle vittime dell’ex medico della squadra femminile americana Larry Nassar, condannato all’ergastolo per violenza sessuale. «Non gli avrei permesso di prendere qualcosa per cui avevo lavorato da quando avevo 6 anni. Non gli avrei permesso di portarmi via quella gioia. Ho spinto oltre ciò che potevo, per tutto il tempo che la mia mente e il mio corpo me lo permettevano».
Il crollo è arrivato quando avrebbe dovuto esserci il trionfo. Dopo anni di vittorie, dopo anni di superiorità provando salti ed esercizi impossibili per le altre. Andando sempre oltre quelli che sembravano i limiti della ginnastica. A Tokyo ha perso l’orientamento, letteralmente e metaforicamente: puoi saltare fino al cielo se sai dove atterrare. Lei non lo sapeva più. «Ho fatto ginnastica per 18 anni e mi sono svegliata in quelle condizioni, persa. Come dovrei continuare?».
È una domanda aperta per il futuro per la sua carriera, ma soprattutto per la sua vita. «Probabilmente sarà qualcosa su cui lavorerò per venti anni. Voglio solo che un dottore mi dica quando sarò guarita. Come quando subisci un’operazione e ti rimettono a posto. Perché nessuno può dirmi che tra sei mesi sarà finita?».