Proprio come era stato stabilito, all’inizio di settembre il 70% degli italiani sopra i 12 anni avrà completato il ciclo vaccinale e, un mese dopo, la percentuale potrà raggiungere l’80%. Eppure, nemmeno così, si potrà raggiungere l’immunità di gregge (la condizione in cui chi non è vaccinato non si ammala perché la maggior parte della popolazione, grazie alla copertura, non fa circolare il virus). «Non la raggiungeremo mai» con il coronavirus, ha spiegato a Repubblica Stefania Salmaso, dell’Associazione italiana di epidemiologia.
«Ci sono troppe variabili. Intanto i vaccinati non sono distribuiti in modo omogeneo su tutte le classi di età (6 milioni di italiani, tutti i bambini sotto i 12 anni, non possono fare il vaccino, ad esempio)». Inoltre «anche chi è vaccinato può comunque prendere l’infezione e forse, anche se gli studi al momento non sono definitivi, trasmetterla. Certo, queste persone hanno comunque minor rischio di infettarsi e contagiare ma comunque contribuiscono alla circolazione».
Anche per questo (oltre che per il fatto con il tempo diminuisce la protezione data dal vaccino) è necessario prevedere la terza dose. Diversi Paesi hanno già dato il via: Israele, la Francia, il Regno Unito, la Germania. In Italia si sta discutendo su come procedere, e i vaccini sono disponibili. Il ministero della Salute vorrebbe cominciare prima possibile – anche in autunno -, e ragiona su tre fasi: a ottobre immunodepressi gravi e malati oncologici guariti da almeno sei mesi, prima di Natale il personale sanitario e da gennaio forze dell’ordine, over 80 e fragili.
«Gli studi che abbiamo a disposizione dicono che l’efficacia della somministrazione dura circa dieci mesi», aggiunge Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli studi di Milano e direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi, in un’intervista alla Stampa. «Questo vuol dire che chi è stato vaccinato a gennaio, già a ottobre avrà perso un po’ dell’effetto iniziale. Questo non è un problema perché in una campagna vaccinale si può tranquillamente tollerare la perdita di un po’ di forza ma, considerando l’andamento epidemiologico e la disponibilità di dosi, è giusto valutare una terza puntura». La terza dose, dunque, è «sicuramente da prevedere», proprio come lo è la possibilità che «non avremo mai una dichiarazione di “fine pandemia”», ma una «situazione di tolleranza con pochi casi e con pochi morti, come è accaduto con l’Hiv».