La scia luminosa che il favoloso Carl Lewis si lasciava alle spalle quando era l’uomo più veloce del mondo, è ancora ben visibile e indica la traccia di un percorso umano e professionale che è stato speciale. Oggi, giovedì 1 luglio, Carl Lewis compie 60 anni. Il suo nome è legato alla storia dell’atletica leggera. Per quello che ha fatto, per quello che è stato.
La velocità e il salto in lungo sono stati i territori di caccia di uno sprinter che negli Anni 80 finiva sulle copertine di tutto il mondo. Il CIO, Comitato Internazionale Olimpico, l’ha nominato «Atleta del XX secolo». La sua consacrazione avvenne alle Olimpiadi di Los Angeles, nel 1984; dove ripetè l’impresa compiuta nel 1936 da Jesse Owens a Berlino. Vinse 100, 200 e 4×100, più la gara del salto i lungo. Divenne il «Figlio del vento».
Correva con un’eleganza senza pari, regale, imperioso, dominante. Gli riusciva tutto facile. Capace di vincere due volte i 100 metri alle Olimpiadi: Los Angeles 1984, Seul 1988. «Non preoccuparti, ne vincerò un’altra», disse alla madre dopo aver fatto seppellire col padre la medaglia d’oro di Los Angeles. Fu di parola. La sua carriera è stata segnata dalla longevità. Basti pensare che il primato personale nel salto in lungo l’ha ottenuto a trent’anni, nel 1991, a Tokyo (8,87 metri). Alle Olimpiadi ha conquistato nove medaglie d’oro e una d’argento, da Los Angeles 84 ad Atalanta 96.
Vegano, ambasciatore Fao da più di dieci anni, paladino dei diritti civili e della lotta al doping nello sport, di idee progressiste (nel 2012 si è candidato con il Partito Democratico), attore, uomo di spettacolo tout court. «La mia carriera è stata un lungo cammino con tante battaglie. Sono fiero di quanto fatto, di averlo fatto secondo i miei desideri e di aver anche procurato del bene». Al culmine della carriera posò per una campagna pubblicitaria per la grande fotografa Annie Leibovitz. Ai blocchi di partenza, con i tacchi a spillo. era un manifesto, forse voleva dire qualcosa e quello era un coming out. L’America puritana lo mise in croce e gli diede del gay. Per l’altra America, quella più illuminata, divenne un’icona.
Ha sempre scelto da che parte stare. Qualità rara, nel mondo dello sport. Non più tardi di due anni fa si schierò apertamente contro Trump: «E’ razzista, misogino e pieno di pregiudizi». Quando ha smesso di correre è diventato allenatore, senza mai dimenticare di spendersi nel volontariato nelle scuole superiori d’America.
Il suo slogan è uno soltanto: «Forse riuscirai a vincere. O forse no. In ogni caso cerca di essere sempre tu a controllare la corsa». Vale nello sport, vale nella vita. E’ stato molto chiacchierato, molto stimato, molto vincente. Ha portato in giro per il mondo – ha imposto, verrebbe da dire – la sua straordinaria diversità. Classe, stile. potenza. Non è mai stato umile. Una volta disse: «Gli altri migliorano, noi Lewis siamo già perfetti». In pista volava. Il «Figlio del vento» è stato e continua ad essere fonte di ispirazione per tantissimi uomini e donne di tutto il mondo. Il pluricampione del mondo di Formula 1 si chiama Lewis Carl – Lewis Carl Hamilton – proprio in suo onore.