Pochi liquori come il nocino – classico infuso a base di noci, alcool, zucchero e spezie varie – vantano una storia profondamente avvolta da misteri e superstizioni risalenti alla notte dei tempi. Anzi, a voler essere un po’ più precisi, in quella di San Giovanni, a cavallo tra il 23 e il 24 giugno, che – dice il proverbio – «destina il mosto, i matrimoni, il grano e il granturco» sotto la volta del solstizio d’estate.
Narra la leggenda che sia proprio questa notte magica – proscenio popolare di incantesimi benauguranti e sortilegi per scacciare il malocchio – il momento eletto per la raccolta delle noci destinate a diventare nocino. Gli antichi ricettari concordano che la raccolta dei frutti ancora acerbi andava fatta a mano da una donna esperta del villaggio (leggete «strega») che avrebbe poi provveduto a lasciare i malli esposti alla rugiada notturna. Il giorno successivo, il rituale prevedeva l’incisione del mallo con strumenti non metallici, così da mantenere intatte le proprietà officinali della noce, e la macerazione per 17 settimane, fino alla notte del 31 ottobre.
Dopo essere, pare, stata inventata all’epoca dell’Antica Roma e poi essere transitata dalla Francia, in tempi più moderni la ricetta del liquore è arrivata in Italia trovando particolare accoglienza nella zona del modenese, dove il nocino ha piantato le radici della propria storia al di qua della Manica. Tanto che nel 1978 gli è stato consacrato persino un Ordine: quello del Nocino Modenese, l’unica organizzazione riconosciuta italiana formata da sole donne, che in Emilia chiamano «rezdore», le massaie depositarie delle tradizione culinarie.
Capita poi in una terra aperta e tollerante come quella emiliana che sia un uomo a detenere la storica ricetta di famiglia e che sia a una donna, la nipote, a rielaborarla 50 anni dopo per un pubblico più attuale. Protagonista di questo passaggio di consegne è la famiglia Marchesini di Pianoro (Bologna), che proprio come le leggende sul nocino ha scritto in queste terre storie destinate ad essere tramandate, come l’aver trasformato una minuscola azienda di confezionamento di farmaci nata in un garage in una multinazionale da 400 milioni di fatturato. E poiché puoi ottenere tutto il successo internazionale che vuoi, ma per gli emiliani la via di casa è sempre quella maestra, dopo la morte del nonno Valentina Marchesini – terza generazione di Marchesini Group – ha deciso di rispolverare la sua ricetta del nocino elaborata negli anni ‘70, adeguandola ai tempi con il progetto Officine Maximum.
Punto di partenza è, dunque, la ricetta originale per 15 litri di nocino del nonno Massimo, che recita così: 375 malli di noce (che venivano divisi in quattro da una macchinetta artigianale, lontana anni luce da quelle ipertecnologiche create nella vicina azienda, ma altrettanto efficace), 15 litri di alcool puro, 4,5 chili di zucchero, 30 grammi di cannella in stecche, di chiodi di garofano, di semi di anice e 60 chicchi di caffè. Dopo una macerazione di 40/60 giorni all’interno di damigiane, si aggiungono sei chili di zucchero e sei litri d’acqua che vengono fatti bollire per cinque minuti. Una volta raffreddato il composto, dice la ricetta, «si aggiunge il tutto alla damigiana, si mescola e si assaggia». Solo un sorso però: una volta filtrato e travasato in bottiglia, è opportuno che il nocino riposi per almeno per un anno. Come tanti altri prodotti di queste terre, tra cui il Parmigiano Reggiano, più lunghi sono i tempi di invecchiamento, migliore è il risultato.
«Mio nonno mi ha insegnato con pazienza l’amore per la terra e per i suoi ritmi, ma soprattutto il grande valore degli affetti sinceri. E che noi, nonostante i risultati che possiamo avere con il nostro lavoro, valiamo anche per il modo in cui ci rapportiamo agli altri, magari offrendo loro un buon liquore fatto in casa» spiega Marchesini, che poi svela le variazioni sulla ricetta originale del nocino di famiglia. «Ho ridotto la quantità di alcool, conservato l’amore nella preparazione e rispettato l’approvvigionamento di noci solo da agricolture sostenibili del nostro territorio». Anche il packaging è migliorato: dalle vecchie, polverose damigiane in vetro foderate di plastica si è passati a piccole bottiglie di design da 50 cl l’una e con il 30% di grado alcolico. Il nome scelto è anch’esso un inno alla tradizione: Nocino375, tante quante sono le noci che servono per ottenere 25 litri di liquore. La prima produzione, avviata solo un anno fa, è stata realizzata in edizione limitata: 1.600 bottiglie, metà delle quali già vendute. «Viviamo in un momento storico in cui il ritorno alla semplicità, alle origini contadine e alla qualità artigianale del prodotto sono importanti. Sono state queste le direttive per far rinascere il progetto del nonno e ampliarlo ulteriormente, con l’idea di creare liquori buoni e naturali, tradizionali ma innovativi, radicalmente diversi dai classici prodotti in commercio, tutti creati localmente e con grande attenzione alla sostenibilità».
E allora, a fine pasto, ben venga un buon nocino – da abbinarsi con creme di gelato, cioccolato fondente, biscotteria secca e castagne arrostite – ma senza esagerare. Secondo gli esperti, le sue caratteristiche di superalcolico fanno sì che la quantità giusta sia di uno, massimo due bicchierini da 30 ml al giorno.