Il successo ha numeri che lo sostengono. Fatti. Eppure, l’insieme di ragioni che ha garantito ai Måneskin l’accesso alla fama internazionale non hanno a che vedere, unicamente, con il puro dato matematico. La band romana, la prima negli ultimi trent’anni a vedersi spalancate le porte delle classifiche inglesi, ha saputo incarnare un nuovo prototipo d’artista. Qualcosa che tenga insieme umiltà e innovazione, dimenticando gli eccessi manieristici della rockstar.
I Måneskin, che la Francia ha provato ad etichettare come «drogati», hanno dimostrato quanto l’onestà – intellettuale ed umana – possa ancora. Hanno aspettato, pazienti, che il merito fosse il solo tramite per il successo. E, dentro e fuori il palco, non hanno voluto altro che la propria musica: un’idea di spettacolo non necessariamente innovativa, ma, di certo, pulita. I Måneskin hanno rifiutato le scorciatoie, i social, la possibilità di pompare il proprio ego e il proprio seguito attraverso attività estranee al loro percorso artistico. E, senza proclami né spacconerie, sono arrivati dove nessun altro, a oggi, è riuscito ad arrivare.
Il gruppo guidato da Damiano David, reduce dalla doppia vittoria di Sanremo e dell’Eurovision, è riuscito a infilare nelle classifiche inglesi un altro suo singolo, I wanna be your slave. Il brano, già disco d’oro in Italia, è arrivato alla settimana posizione dei singoli più ascoltati oltremanica. Cosa, questa, che non ha alcun precedente nel nostro Paese. La band, per la quale si dice Simon Cowell in persona, il genio dietro il fenomeno One Direction, abbia manifestato un certo interesse, è la prima in Italia a potere tanto. E pure la Bbc ha dovuto arrendersi all’evidenza, certificando il successo di un quartetto che è riuscito a ribaltare ogni stereotipo di genere (musicale), vendendo il suo essere bravi ragazzi per quel che è: una medaglia al valore, ancor più rara nel mondo d’oggi.