Se c’è qualcosa che noi italiani non siamo capaci di prendere alla leggera, questa cosa è sicuramente il cibo.
Passiamo molto del nostro tempo a mangiare o a pensare a quando lo faremo di nuovo (in alcuni casi, addirittura nello stesso momento: siamo perfettamente capaci di parlare della cena mentre siamo ancora seduti a tavola per il pranzo). Andiamo orgogliosi dei piatti della nostra tradizione e siamo pronti a difenderli con le unghie e con i denti, combattendo contro chi cucina la carbonara con la panna o abbina il pesce al formaggio come se ne andasse della nostra stessa vita. Assaggiamo la pizza all’estero solo per poter confermare che siamo gli unici a saperla fare davvero. Affrontiamo senza battere ciglio pasti da venticinque portate, riuscendo sempre e comunque a trovare un posticino per il dolce. Insomma, dire che ci piace mangiare è un eufemismo bello e buono.
E tuttavia non si tratta solo di essere delle buone forchette: chiedere a una persona se ha mangiato significa farle sapere che le vogliamo bene, e poche cose ci scaldano il cuore come la nonna che ci prepara il nostro piatto preferito quando andiamo a trovarla la domenica. Il cibo è il linguaggio dell’amore, e me ne sono resa pienamente conto soltanto quando mi sono trasferita a migliaia di chilometri dalla Sicilia, e ho iniziato a sentire nostalgia di certi sapori e certi profumi che avevo sempre associato, inconsapevolmente, alla mia casa e alla mia famiglia.
Ho cercato di resistere per un po’, convincendomi che i pomodori hanno lo stesso sapore ovunque li si compri e ripetendomi che si sopravvive dignitosamente anche senza arancini e cannoli. Ma alla fine sono stata costretta ad arrendermi e appellarmi all’unico vero dio di ogni fuorisede che si rispetti: il pacco da giù.
Il pacco da giù è lo stratagemma che i fuorisede (che certo non mancano di inventiva e intraprendenza) hanno elaborato per sentire il calore della propria terra anche quando sono distanti. A dispetto del nome, non c’è alcun percorso prestabilito che il pacco deve compiere per poter essere definito “da giù”: potrebbe benissimo partire dalla Puglia, dalla Valle d’Aosta o dalla Toscana, e raggiungervi in qualunque parte dell’Italia o del mondo siate, e si chiamerebbe comunque così. Il pacco da giù resta tale anche se arriva da nord, da est o da ovest, per il semplice fatto che non ha niente a che vedere con la geografia. È un mito, un’istituzione, uno stato d’animo.
Ma come nasce un pacco da giù? Nel mio caso, funziona più o meno così, ogni benedetta volta.
Fase uno:
Chiamo i miei genitori e li imploro, piagnucolando, di spedirmi un po’ di roba da mangiare. Niente di eccessivo, eh: un paio di litri di olio, qualche dolce, degli agrumi e tre o quattro conserve fatte in casa.
Fase due: Le parole “niente di eccessivo” non vengono minimamente registrate dal cervello dei miei famigliari, che passeranno la settimana successiva a razziare supermercati, imballare vasetti e cercare l’incastro perfetto con una luce folle negli occhi, determinati a stipare lo scatolone il più possibile. La mia telefonata li ha impietositi, e riempirmi di cibo è diventata la loro unica missione.
Fase tre: Adesso che il pacco è ufficialmente in viaggio, ricevo ogni due ore un messaggio di mio papà che chiede “È arrivato?” e trascorro ogni attimo libero sul sito del corriere per tracciare la spedizione, in trepidante attesa.
Fase quattro: Alla fine, quando avevo quasi smesso di crederci, il citofono suona: il pacco è finalmente arrivato. Ha il peso specifico del piombo e portarlo su per le scale è un’impresa titanica che mi fa imprecare e uscire un’ernia, ma mi accorgo che ne è valsa la pena nel momento stesso in cui lo apro, quando l’odore di limoni mi investe, facendomi quasi mettere a piangere per l’emozione.
Fase cinque: Adesso lo scatolone giace vuoto sul pavimento, mentre il frigo e la credenza sono sul punto di scoppiare. Tutto questo cibo potrebbe essere sufficiente per sfamare una piccola nazione per qualche settimana, e l’entusiasmo iniziale lascia spazio, gradualmente, al panico: come farò a mangiare tutto? Ma la paura dura poco: sembrerebbe quasi che i miei amici abbiano sviluppato un curioso sesto senso per cui riescono sempre a capire quando ho appena ricevuto un pacco da giù. E infatti si sono già autoinvitati a cena.