Una delle malattie meno democratiche delle storia – il Covid-19 ha reso alcune persone ricchissime, ad altre ha tolto ogni cosa – si è abbattuta in modo tutto sommato egualitario nei confronti del business dell’accoglienza e degli hotel di ogni categoria. Poco è importato che le stelle fossero cinque o una, che ci fosse o meno un concierge dedicato, che le boccette di shampoo fossero griffate o simili a quelle di un supermercato economico: le chiusure sono state obbligatorie per (quasi) tutti e le conseguenti perdite economiche, ingentissime, hanno finito per mettere in ginocchio uno dei settori più proficui del mercato turistico italiano. Lo scorso marzo, dopo l’ennesima riapertura seguita all’ennesimo stop forzoso, Villa Eden è tornata a proporre ai suoi ospiti i trattamenti e la cucina detox che l’hanno resa il più celebre wellness resort altoatesino, frequentato negli anni da VIP come Pavarotti, Dalla, Barbra Streisand e Diego Armando Maradona. Angelica Schmid, proprietaria ed anima della struttura, ci spiega come in Villa hanno affrontato – non senza amarezza ma sempre con pacata fiducia verso il futuro – la pandemia e quali sono le tempistiche della ripresa.
Nel 2019 Villa Eden ha generato un giro d’affari di 4 milioni di euro, con ospiti che spendevano in media 500 euro al giorno tra stanza e trattamenti. Poi è arrivato il Covid.
«All’inizio, come tutti, siamo stati costretti a chiudere dal 10 marzo 2020. La paura era tanta, non si capiva come affrontare il virus. Poi, dopo aver assimilato la situazione, è arrivato il momento di capire come far sopravvivere anche l’azienda. I nostri collaboratori erano tutti assunti e non era prevista una cassa integrazione per il turismo, poi introdotta da aprile. Anche le moratorie sui finanziamenti ci hanno permesso di tirare il fiato».
Dopo il lockdown generalizzato, le prime riaperture tra maggio e giugno.
«Abbiamo adottato misure di precauzione come il distanziamento di due metri tra i tavoli e mascherine FFP2 per tutti, ospiti e personale. Ma per rendere accessibili oltre alle suite anche la Spa e la piscina abbiamo dovuto fare uno step ulteriore nella sicurezza».
Vi siete reinventati come uno dei primi Covid Safe Hotel in Italia e in Europa. Cosa significa?
«Abbiamo installato un tunnel di disinfezione all’ingresso della struttura. Dopo il check out, in tutte le nostre stanze viene nebulizzato un prodotto specifico che in due ore disinfetta l’ambiente, inclusi i tessuti. Testiamo inoltre settimanalmente tutti i collaboratori e gli ospiti al loro arrivo, così da permettere un contatto più stretto con sanitari e massaggiatori, figure fondamentali per un medical resort come il nostro. È un sistema che ha dei costi ma può funzionare meglio di un lockdown forzato. All’inizio non è stato facile, c’era molta paura soprattutto tra la clientela italiana».
E gli ospiti internazionali?
«A fine giugno, dopo la rimozione dell’allerta viaggi nei rispettivi paesi, sono tornati gli austriaci, i tedeschi e gli svizzeri. È seguita una buona estate lavorativa, poi la Germania ha reintrodotto l’allerta viaggi con l’Italia. Ricordo ancora il 23 ottobre il fuggi-fuggi dei tedeschi che dovevano tornare a casa per non rischiare la quarantena. Siamo andati avanti con sola clientela italiana fino all’8 novembre; successivamente sono stati introdotti una serie di divieti che hanno fatto saltare le vacanze di Natale e Pasqua. Noi abbiamo una speciale licenza sanitaria e alla fine, il 18 marzo, abbiamo detto: riapriamo. Dovevamo dare una prospettiva ai clienti e soprattutto ai nostri collaboratori (stupisce, ma neanche tanto, la giovane età del personale addetto alla reception, al ristorante e alla cucina, capitanata dal trentenne Executive chef Philipp Hillebrand, che gli addetti ai lavori danno in odore di prima stella Michelin, ndr)».
Un 5 stelle ha anticorpi diversi per affrontare una crisi epocale come questa o le dinamiche sono simili per tutti?
«Siamo un po’ tutti nella stessa barca. Il nostro vantaggio è stato quello di aver introdotto in breve tempo una policy stringente per la sicurezza. Non nego che – soprattutto la scorsa estate, quando si pensava che il peggio fosse passato – il nostro protocollo ci ha svantaggiato con alcuni turisti tedeschi e olandesi. Arrivavano da una situazione meno complessa di quella italiana e non erano ben disposti a fare tamponi e indossare mascherine, così si sono diretti verso altri lidi. Poi è arrivata la seconda ondata».
Avete approfittato dei vari stop and go per fare investimenti?
«Abbiamo ristrutturato il ristorante e creato due nuove sale, una per chi segue il menu detox, l’altra è una Tasting Room di soli sei tavoli per chi sceglie il menu degustazione messo a punto dallo chef Hillebrand. Quando si potrà, la sala aprirà anche ad ospiti esterni, su prenotazione».
Avete anche introdotto nuovi trattamenti?
«Abbiamo messo a punto il programma Covid Immunoplus, che prevede una visita diagnostica iniziale seguita da trattamenti come l’Ossigeno Ozono terapia, l’assunzione di cocktail multivitaminici personalizzati e terapie per depurare il corpo da metalli pesanti. Un sistema immunitario funzionante può ridurre l’impatto sul corpo dei virus, tra cui il SARS-CoV-2, o aiutarlo a riprendersi dall’infezione».
Come sarà l’estate 2021 per Villa Eden?
«Al momento siamo a circa metà della nostra capienza (29 suite, ndr), ma il virus fa meno paura e possiamo conviverci. L’obiettivo è andare in pari in questi primi mesi di riapertura e poi, riavviata la circolazione fra regioni italiane e sul territorio europeo, tornare a lavorare bene come abbiamo sempre fatto».
Quanto tempo ci vorrà per riacquisire la normalità?
«Il 2021 sarà ancora un anno di sopravvivenza, sperando non ci saranno altre chiusure, d’altronde nessuno aveva previsto la seconda ondata. Con vaccinazioni e green pass proviamo ad immaginare un ritorno al turismo, con le dovute precauzioni».