Oggi è la Giornata Internazionale della visibilità Transgender.
Nata nel 2009, questa Giornata vuole essere una grande vetrina che ricordi dell’esistenza del mondo trans, non solo per le discriminazioni che subisce. Fino al 2009 esisteva solo il Transgender Day of Remembrance, una ricorrenza molto importante perché serve a ricordare le vittime della transfobia – che sono “vittime” in molteplici sensi, ma per questo ci rivedremo il 20 novembre. Benché sia quindi una data carica di significato, il suo ruolo è relegato all’aspetto più drammatico della transizione: quello della privazione.
Il discorso si lega in un certo senso a quello legato alla rappresentazione delle persone trans nel mondo del cinema, che per diverso tempo è stata piuttosto drammatica, nonché talvolta stereotipata e fuorviante. Penso anzitutto a visioni mostruose della transizione, utilizzata come simbolo di qualcosa di radicalmente cattivo, come succedeva in Glen or Glenda (1953) o Dr Jekyll and Sister Hyde (1971). Penso poi, ovviamente, a Boys Don’t Cry (1999), insieme a Dallas Buyers Club (2013) e all’ancora più recente The Danish girl (2015), che, benché calchino anche esperienze reali, raccontano solo il lato tragico ed estremo della transizione; e, se non correttamente bilanciati da rappresentazioni altrettanto popolari che mostrino verità più mondane, “a lieto fine”, possono anche influenzare le aspettative ed il pensiero di persone trans e non.
Il Transgender Day of Remembrance, senza alcun tono accusatorio, sul piano della celebrazione è simile a tutte queste pellicole: ci racconta molto bene i drammi della comunità trans e ci mostra con dei numeri – che sono inequivocabili – quali e quante sono le difficoltà che la stessa deve affrontare. Ed è qui, allora, che entra in gioco la Giornata Internazionale della Visibilità Transgender. Questa è quindi, ormai è chiaro, un po’ il “nuovo film”; è il contraltare composto da tantissime vicende che trovano respiro nella quotidianità e che ci raccontano che la persona transgender non è (solo) quella che vive per strada, o che rimane relegata al mondo del sex work, o che viene allontanata da familiari ed amici; è anche la nostra collega, il medico di successo che incontriamo in sala d’attesa, il regista di un corto che ci appassiona, la nostra padrona di casa. In questo giorno si mostrano e ricordano volti e vite normali, per far sapere che non siamo solo persone transgender e, allo stesso tempo, per far vedere quanta vitalità ci sia dentro a questa parola. «Siamo trans, e…» è un po’ il motto.
Io sono un ragazzo trans, ma sono un fratello, uno zio, un amico, un dipendente, un aspirante scrittore. La mia vita non ruota intorno alla mia transizione, non più di quanto ruoti intorno a tutte le altre cose che fanno parte di me – le mie passioni, la mia famiglia, la persona che amo, i miei obbiettivi. Questa ricorrenza, che a me piace considerare quasi una “festa”, mostra al mondo la complessità di una comunità piena di sfaccettature, per ricordare “agli altri” che siamo esattamente come loro e possiamo essere uguali e diversi nei modi che loro già conoscono. Non siamo niente “in più”, niente di “altro”: siamo un’esperienza tra tante esperienze. Il discorso non vuole certo essere banalizzante o sminuente nei confronti di un percorso di vita certamente burrascoso, ad oggi ancora intralciato sotto tanti aspetti; mira solo ad avvicinare la comunità transgender alla collettività, il primo passo per raggiungere la normalità. Solo con questa potremo integrarci al resto, ottenere la possibilità di trovare il nostro posto nel mondo, senza doverci dimenare nel timore di essere relegati a certi spazi sociali.
Il senso di questa giornata è: le persone trans esistono. Io aggiungerei: e non hanno il cartellino di riconoscimento. Perché ad oggi ancora ci aspettiamo che la persona transgender abbia certe fattezze, che sia riconoscibile in mezzo massa, che sia “fatta così”. Allora non basta più sapere che questa comunità esiste, dobbiamo anche imparare a coglierne l’eterogeneità. In un mondo che si considera evoluto e civile non si può più credere che le donne trans siano “prostitute”, o “uomini con la parrucca”; non è più possibile pensare che gli uomini transessuali siano “delle femminucce”; non è più accettabile ingabbiare un intero gruppo di persone in un cliché. Infine, è giusto ricordare che la ricorrenza è a disposizione di tutti: è proprio qui che risiede la sua bellezza e potenza. Se ciascuno si prendesse un solo minuto di questo giorno per raccontare qualcosa di reale ed appropriato sul cosmo della transizione (raccontando l’esperienza di qualcuno che vive il percorso, condividendo qualche dato, cercando valide informazioni), domani ci sveglieremmo in una realtà aumentata. Che per me, oggi, non ha niente a che fare con la tecnologia, non è nulla di interattivo: rappresenta l’espansione del pensiero, tale da accerchiare ed includere ogni varietà. Perché, se davvero non è ancora possibile un mondo in cui regni l’uguaglianza, viviamo in uno in cui possiamo almeno provare a raggiungerla.