La Nuova Zelanda ha approvato un disegno di legge che riconosce tre giorni di congedo parentale, quindi ad entrambi i genitori, in caso di aborto spontaneo. Indipendentemente dal momento della gravidanza in cui si verifica l’aborto. Al momento nel Paese esiste già una legge che prevede un congedo pagato di tre giorni per le coppie che vivono questa situazione, ma la gravidanza deve aver superato le venti settimane.
A proporre il disegno di legge è stata la parlamentare laburista Ginny Andersen, sottolineando come la Nuova Zelanda sarà il primo paese a estendere questa forma di tutela anche alle prime settimane di gravidanza. Il provvedimento sarà valido anche in caso di maternità surrogata ma non per le interruzioni volontarie di gravidanza. «Spero che saremo tra i primi, ma non tra gli ultimi, e che altri Paesi cominceranno a legiferare per un sistema di congedi più umano ed equo, che riconosca le sofferenza e il dolore successivi ad aborti spontanei e morte alla nascita», ha dichiarato Andersen in parlamento.
Nel Paese, secondo i dati diffusi dall’organizzazione benefica Sands New Zealand, che assiste i genitori che hanno perso un figlio durante la gravidanza, ci sono dai 5.900 agli 11.800 aborti spontanei o figli nati morti ogni anno e più del 95 per cento degli aborti spontanei si verifica nelle prime 12-14 settimane di gravidanza (associazione nazionale delle ostetriche neozelandesi).
Una norma che nel momento in cui entrerà in vigore, nei prossimi mesi, segnerà un cambio di passo importante per i diritti delle donne ma anche per la genitorialità. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Michela Scafetta.
Quanto è importante questo disegno di legge?
«Si tratta di un riconoscimento importante, che consente di aprire il dibattito su diversi temi fondamentali. Infatti, questo intervento normativo incide su molteplici ambiti, non limitandosi ad ampliare la tutela dei diritti delle donne».
Su quali ambiti influisce?
In primo luogo, il riconoscimento di un congedo “parentale” colloca entrambi i partner su un piano di parità, nell’ottica di una genitorialità condivisa. Sul piano sociale, questo intervento consentirà di superare lo stigma legato all’aborto spontaneo, concedendo alle donne ed ai loro partner il tempo necessario per elaborare il lutto derivante dalla perdita. Sul piano giuridico denota una crescente attenzione nei confronti della dignità dei lavoratori e soprattutto delle lavoratrici».
E in Italia quando arriverà una norma di questo tipo?
«Ritengo che ci siano speranze anche per il nostro Paese. Basta considerare che la Nuova Zelanda, che oggi dà prova di grande progresso nel riconoscimento dei diritti delle donne, sino ad un anno fa sanzionava penalmente l’aborto volontario. D’altronde, oggi il tema della tutela della dignità delle lavoratrici e delle madri lavoratrici è oggetto di grande attenzione. In particolare, è auspicabile l’ampliamento ed il riconoscimento di forme di congedo paritario per madre e padre. Infatti, il riconoscimento di un sistema di congedi più equo ed “umano” costituirebbe un fattore importante anche per l’incremento del livello dell’occupazione femminile».
Oggi come sono tutelate le donne italiane che vivono aborti spontanei?
«In Italia l’aborto prima dei 180 giorni è trattato, per quanto riguarda il congedo, come malattia. Dopo il 180° giorno invece, l’aborto è equiparato al parto, ne deriva e che il congedo è equiparato a quello di maternità».
Il congedo in Nuova Zelanda verrà esteso anche ai partner. In Italia ai partner cosa spetta in questi casi?
«Nel nostro Paese, in caso di aborto spontaneo non è prevista una forma di congedo parentale».