Le giornate di Federica Ferracuti, meglio conosciuta come Hu, iniziano tutte le mattine alle 6: «Sono una mattiniera, un generale» spiega al telefono dalla sua casa di Milano prima di descriversi come una ragazza carica, iperattiva, incapace di allentare la sua voglia di fare le cose. «Nonostante il periodo in cui viviamo, ho cercato di attivarmi ancora di più, e ho fatto bene: ho avvertito la necessità e la fame di avere le mani in pasta in qualcosa» insiste Federica che, dopo aver partecipato ad AmaSanremo con il brano Occhi Niagara, arrivato a un passo dalla qualificazione nella sezione Giovani del Festival, non ha un momento libero tra lo studio di registrazione e le collaborazioni che la vedranno protagonista nei prossimi mesi.
https://www.youtube.com/watch?v=VtsZbrCYhE4Il suo nome d’arte, Hu, è legato a una divinità egizia «gender fluid» nella quale Federica si è imbattuta per caso, leggendo un libro sulla storia delle divinità venerate dalle Piramidi: «A un certo punto mi cadono gli occhi su Hu. Insieme all’assonanza con il “who” inglese, scopro ché non è né uomo né donna: è la divinità che dava agli uomini la facoltà di pensiero e di parola e mi sono subito innamorata perché non è personificata, ma la sintesi del mio sogno».
Visto che si alza la mattina presto e va a letto tardi, dormirà pochissimo.
«Arrivo la sera che sono stanchissima, infatti. Non guardo mai film per questo motivo, ho sempre la testa sulle cose che faccio o che voglio fare».
Ha sempre avvertito questa urgenza?
«Sì, mi ritengo una persona irrequieta, anche se per la maggior parte del tempo vivo nella mia grotta davanti al computer a produrre, e questo genera isolamento. Sarà per questo che il lockdown non l’ho subìto così tanto: la mia vita non è cambiata molto a livello pratico. Quando arriva la crisi, o ti areni o trovi un modo per evolverti e io ho fatto proprio questo».
La musica è condivisione e l’ha portata a uscire dalla grotta.
«Viviamo in una società talmente veloce che ci dimentichiamo di prenderci cura di chi è al di fuori di noi. Quando ho capito l’importanza di regalare quello che hai fatto a qualcun altro mi si è sbloccato qualcosa. È successo anche durante il lockdown, quando ho lanciato l’idea di fare delle lezioni gratuite di produzione in streaming tutti i weekend: credevo che saremmo stati in dieci, invece mi sono ritrovata a streammare con duecento persone per tre mesi. Questo mi ha permesso di conoscere tantissimi artisti e di capire che la squadra è fondamentale per fare le cose bene».
Non è casuale che lei si sia proposta come insegnante visto che ha studiato da autodidatta per tanto tempo.
«Ho iniziato a studiare musica quando avevo 11 anni, facevo la turnista e mi nascondevo dietro gli strumenti, non avevo l’esigenza di stare in prima fila come adesso. A 15 anni ho comprato un pc, le lezioni per imparare a usare i programmi costavano parecchio, quindi l’unica alternativa era andare su YouTube e vedere cosa facevano gli altri. Ho sempre fatto parte del sottobosco, anche se andando avanti mi sono attivata: volevo imparare a conoscere bene quello che facevo, da lì è nata la mia passione per la matematica, i sintetizzatori, la diffusione del suono».
Si reputa una secchiona?
«Per niente, a scuola in matematica avevo 4. Per molto tempo mi ero rassegnata al fatto di non essere adatta ma, quando ho dato l’esame di Analisi e ho preso 30, mi sono resa conto che in fondo non ero poi così scema. Mi piace lavorare con la logica in tutti i processi: dalla cucina alla musica».
La scelta di non nascondersi più dietro a uno strumento e di calcare il palco è stata dettata dalla logica?
«Dall’amore di voler comunicare qualcosa: ho sempre considerato la musica un mezzo di espressione enorme. Da bambina disegnavo e dipingevo, qualche anno fa ho costruito e realizzato un’installazione in quadrifonia per la mia tesi di laurea. Voglio creare delle cose, non solo nella musica, esplorare nuovi ambiti, l’arte concettuale».
Una ricerca che è anche racchiusa in Occhi Niagara, la canzone che l’ha fatta conoscere al pubblico.
«In quel testo c’è tutto il senso della ricerca di qualcosa, di una consapevolezza. Facciamo i conti tutti i giorni con le attese, le delusioni, le aspettative. È un po’ il mio manifesto».
Con quel brano ha partecipato ad AmaSanremo: che ricordo ha di quell’esperienza?
«Non ero mai stata in tv prima. Mi ero sempre ripromessa che ci sarei andata quando mi sarei sentita a fuoco per quello che volevo raccontare ed è per questo che in passato ho spesso detto di no ai talent: volevo avere chiaro quello che raccontavo. All’inizio avevo paura, ma quando il percorso è finito mi sono sentita profondamente grata di questa opportunità. Da allora sono stata contattata da diversi artisti, inclusi dei Big, che mi hanno detto di tenere le porte aperte per collaborare insieme».
Immagino non possa dire chi.
«Ancora no: ho imparato che alcune cose le devo raccontare quando le ho già fatte. È per questo che non mi guardo mai indietro quando faccio le cose, sono sempre 30% al presente e 70% al futuro. A Sanremo Giovani, però, riproverò: al di là dell’obiettivo, l’importante è acquisire esperienze durante il percorso. Non sono per vincere o partecipare, ma per vivere senza sapere dove vai, con questa fame che può essere positiva o negativa».
Questa fame la porta verso dei sogni in particolare?
«Al desiderio che la mia musica possa arrivare a più persone possibili. Quando sono in studio sto bene, mi sento a mio agio ed è quello che voglio continuare a fare: collaborare con gli artisti, condividere con il pubblico, lanciare un messaggio al di là della musica».
Secondo lei qual è il suo più grande talento?
«Ho tantissimi difetti, ma anche il grande pregio di ascoltare parecchio quello che mi circonda, di scavare. Non mi accontento di quello che vedo, sono una persona molto curiosa».
(Foto in apertura di Edoardo Conforti/ Make-up: Giada Pinato/ Styling: Sabrina Mellace)