Da dove viene il latte e il formaggio che consumiamo? Da che tipo di allevamento? Come vivono le mucche che producono il cibo di cui noi ci nutriamo? La domanda non è banale, anzi, ha una fondamentale importanza. Perché se ormai è chiaro a tutti noi che il cibo che mangiamo fa la differenza, sia per la nostra salute che per la salute del mondo, dovremmo di conseguenza preoccuparci di sapere come viene prodotto quello che scegliamo di consumare.
Ma come si fa a scegliere il prodotto giusto? Non è sempre semplice: i produttori sanno bene che il mercato è orientato verso un’alimentazione sana e scelgono confezioni con mucche su pascoli verdi e diciture come «genuino» e «italiano» per farci scegliere i loro prodotti. Ma come facciamo a sapere che dietro quelle diciture c’è una vera pratica di benessere? Per questo è sempre più importante avere certificazioni affidabili su cui basare le nostre scelte alimentari. Ed è per questo che Compassion in World Farming (CIWF) e Legambiente hanno presentato oggi, in diretta sulle loro pagine Facebook e sul sito lanuovaecologia.it, la propria proposta di criteri per un’etichettatura secondo il metodo di allevamento per le vacche da latte.
Il criterio è semplice: una mucca che vive sana e in un ambiente consono al suo sviluppo, avrà una vita migliore e produrrà latte migliore. Ma quali sono i criteri da tenere in considerazione? Il benessere animale è legato alla possibilità di esprimere il proprio comportamento naturale, come quello di uscire al pascolo, ruminare sdraiate, esprimere la propria vita sociale.
Per questo la tabella presentata da CIWF risponde a domande quali, la vacca vive legata (stabulazione fissa) o è libera? Ha accesso al pascolo, e per quante ore? E attraverso questi criteri identifica la «virtuosità» dell’allevamento con 5 che definisce l’allevamento intensivo per arrivare a 0 che definisce l’allevamento biologico, mentre l’1 è il miglior livello che definisce animali che non vivono legati, che stanno al pascolo dai 6 agli 8 mesi e per i quali il pascolo garantisce il 60% della dieta. «Questa proposta di etichettatura permette che chi alleva le vacche al pascolo sia visibile ai consumatori. La cosa importante è che tutti abbiano la possibilità di accedere a informazioni chiare» dice Federica Di Leonardo di CIWF Italia. «La tabella che abbiamo preparato tende a favorire la transizione da un livello più basso a quello più alto». Offre in pratica una possibilità di crescita agli allevatori e di scelta ai consumatori. E che questo sia un desiderio di tanti lo confermano i dati. I consumatori sono disposti a spedere di più per comprare prodotti di animali che non vengono allevati nelle gabbie, e anche disposti a spendere di più per un’etichettatura più chiara. D’altra parte altri studi confermano che i prodotti che derivano da sistemi di allevamento all’aperto hanno sostanze nutritive migliori.
La proposta è quindi quella di un’etichettatura secondo il metodo di allevamento, volontaria, univoca e nazionale, che renda i consumatori protagonisti della transizione verso sistemi di allevamento più sostenibili.
«Le scelte alimentari sono uno di queli ambiti dove ogni singolo cittadino ha la possibiltà di essere protagonista» dice Antonino Morabito di Legambiente. «Possiamo scegliere di non cascare nella trappola del sottocosto, ricordandoci che i prodotti che sono offerti a basso prezzo nascondono un altro costo, che incide sulla nostra salute, sull’ambiente, sul nostro futuro. Quel risparmio sul prodotto sottocosto ha altri costi, che si dicono “esternalizzati”, che si finisce per pagare tutti. Vogliamo trasparenza e chiarezza, perché le persone abbiamo lo strumento per fare delle scelte, perché sappiamo che si può cambiare e voler bene agli animale significa voler bene a tutti noi».
«Lo scorso luglio è stato approvato l’articolo 224-bis del decreto rilancio che prevede una nuova certificazione del benessere animale – dice Federica Di Leonardo – Sappiamo che alla definizione di questi standard di produzione stanno lavorando il Ministero della Salute, il Ministero delle politiche agricole e Accredia. Ma non partecipano rappresentanti della società civile e i criteri del benessere animale sono poco ambiziosi. Chiediamo al governo di coinvolgere la società civile, nella certificazione del benessere animale. Noi siamo la voce degli animali ma rappresentiamo anche quella dei consumatori. Chiediamo che questo processo sia trasparente».