Quando un gatto ti cambia il destino. Potrebbe essere un po’ la sintesi della vita di Claudio Augugliaro, il ricercatore quarantaquattrenne di Palermo che ha sposato il suo destino a quello Gatto di Pallas, un micione di circa tre chilogrammi e mezzo che è un po’ il simbolo della steppa mongola. Perché proprio grazie al Gatto di Pallas, con i suoi occhietti gialli dalle pupille tonde e il musetto un po’ schiacciato, le orecchie corte e tozze e le zampe che quasi scompaiono sotto tutto quel lunghissimo pelo grigio bianco e nero, la sua vita ha fatto il doppio salto carpiato e dall’Italia si è ritrovato catapultato in Mongolia, al fianco della bellissima Choikhand, mongola, amante degli animali, studiosa come lui, incontrata ad un master sulla CITES, l’organismo internazionale che si occupa della regolamentazione del commercio di specie protette e animali in via d’estinzione.
Una passione condivisa da accademici che ha travolto le loro vite e rivoluzionato i programmi per il futuro. Non solo dal loro incontra è nata Sofia, il cui nome locale, Onon, si ispira al fiume dove è sepolto Gengis Khan, che a cinque anni parla mongolo e inglese, ed è un piccolo genio della matematica. Ma insieme hanno creato una ONG piccola ma agguerrita, la Widlife Inititive, con l’obiettivo di sviluppare progetti di conservazione basati sui risultati scientifici che contribuiscano a far rinascere territori degradati e sostenere le specie selvatiche presenti in zone nelle ultime aree di frontiera del pianeta.
Il Gatto di Pallas, dal nome dello studioso che lo individuò e riconobbe per primo Peter Simon Pallas, è un felino elusivo e minacciato. La sua pelliccia per farne cappelli e il suo grasso, utilizzato a scopo terapeutico contro i reumatismi, rappresentano infatti una grande attrattiva per i cacciatori locali. «Non è classificato ancora come in via d’estinzione – spiega Augugliaro che fa parte del Pallas’s Cat Working Group, associazione internazionale che raggruppa gli esperti di Gatto di Pallas di tutto il mondo – ma in decremento in tutto l’areale». Dove per areale si intende l’area di diffusione geografica che include 14 Paesi e che va dalla Mongolia all’Iran, passando per Cina e Russia, fino al Medio Oriente. Lo si trova anche in Tagikistan, Uzbekistan. In Afghanistan forse si è già estinto.
Il Gatto di Pallas, pur essendo un gatto selvatico e appartenente ad un habitat selvaggio come la steppa mongola, ha moltissimi appassionati. Molti lo amano perché ricorda molto il gatto persiano, una delle razze feline più amate, e pare che lo stesso Peter Pallas nel 1776 avesse ipotizzato che il Gatto di Pallas potesse essere il suo antenato. In realtà non è così, ma certo è che il pelo lunghissimo e morbido, gli occhi piccoli e luminosissimi, e le buffe espressioni che lo caratterizzano grazie al muso schiacciato dall’aria impertinente, lo abbiamo trasformato in un gatto “cult”. Rimane comunque un animale schivo, che non ama la presenza umana, che gironzola di preferenza all’alba e al tramonto e si ciba di animali, come i roditori e i
pika, che sono considerati infestanti, trasformandolo quindi in un benefattore per agricoltura e raccolti.
Per proteggerlo è importante innanzi tutto fotografare la situazione. Claudio Augugliaro ha infatti firmato uno studio, di prossima uscita sulla rivista scientifica internazionale Wildlife Research, che per la prima volta stima rigorosamente con campionamento scientifico e tecnica di fototrappolaggio la presenza del Gatto di Pallas su un’area di circa 100 chilometri quadrati a circa 160 chilometri a sud di Ulan Bator. Più o meno 500 “fotografie in movimento” di questo animale che in russo e in mongolo di chiama Manul, difficile da stanare e da documentare, che testimoniano la presenza di quasi una ventina di esemplari diversi nell’area di Bayan Onjuul.
«È la prima volta che viene effettuato uno studio così sistematico – spiega Claudio dai 20 gradi circa sottozero che in questi giorni accompagnano le sue giornate mongole in attesa della primavera – fino ad oggi l’unica stima, molto approssimativa, sul numero di esemplari in vita di Gatti di Pallas a livello globale è di circa 50 mila. Una stima che arriva dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura ma che non sembra molto credibile, proprio per i metodi di raccolta dati. Noi abbiamo applicato metodi rigorosamente scientifici al camera trapping, con un campionamento sistematico che segue un protocollo specifico proprio per evitare stime approssimative e inesatte». In pratica sono state posizionate per circa tre mesi su questo territorio steppico e roccioso, dove era attestata la presenza del Gatto di Pallas, una cinquantina di fototrappole che hanno restituito le attività giornaliere e notturne di questi animali. «Grazie ai dati raccolti – precisa Augugliaro – possiamo comunque stabilire che il gatto di Pallas persegue un’attività crepuscolare in estate, mentre in autunno si muove soprattutto nelle ore centrali della giornata. Il passaggio successivo sarebbe quello di coinvolgere i pastori locali che per poche migliaia di euro potrebbe essere utilizzati per la distribuzione e il controllo capillare delle fotocamere. In questo modo verrebbero ad essere sensibilizzati sull’importanza di interrompere quelle pratiche di caccia che sono ad oggi il grande pericolo per la sopravvivenza del gatto, insieme agli attacchi dei cani pastore».
Ma in che maniera è stata identificata la ventina di esemplari individuati grazie alle fototrappole? «Grazie ai puntini di pelo scuro che si distinguono fra gli occhi: cambiano da individuo ad individuo e rappresentano un po’ le loro impronte digitali» spiega Augugliaro che ora punta alla moltiplicazione della sua ricerca in altre aree geografiche. Il ricercatore può contare su un team quasi tutto italiano composto dal fotografo naturalista Giacomo De Donà, tre tecnici faunisti, Fabio Dartora, Andrea Vendramin e Giovanni Bombieri, impegnati nelle operazioni di campo, filtraggio dati e di fundraising e il ricercatore Stefano Anile, oltre che dal professor Clayton Nielsen della Southern Illinois University (USA) e dal Professor Munkhtsog e dallo studente Enkhzorig della National University of Mongolia. Con loro intende proseguire nelle ricerche avvalendosi di un’arma in più: il radiocollare.
«Vorremmo utilizzarne un modello con gps capace di rendicontare esattamente le attività dei gatti e in particolare condurci alle tane dove i cuccioli nascono e vengono svezzati. Sarebbe fondamentale per la salvaguardia di questi animali, dal momento che spesso madri e piccoli vengono uccisi dai cani pastore proprio durante lo svezzamento. Individuare le tane ci permetterebbe di proteggerle. Basterebbe un investimento minimo, con una spesa di 1.300 euro per ogni radiocollare e una piattaforma di raccolta dati da circa 2000 euro. Per questo, soprattutto in questa fase in cui i progetti sono ad un punto di svolta determinante, sarebbe fondamentale avere il sostegno di istituzioni e di sponsor. Anche se voglio ringraziare la disponibilità dell’Ambasciatore italiano in Mongolia Laura Botta e del suo funzionario Patrizia Colomba, per l’attenzione e il sostegno che ci hanno dedicato di recente. Speriamo anche che, come succede per molti colleghi ricercatori americani, inglesi e australiani, gli zoo nazionali si possano interessare ai nostri progetti e sostenerci nel trovare quei fondi indispensabili alla loro continuazione».