Esistono persone che si fanno ricordare per le cose che dicono. Altre per quello che scrivono. Marina Valcarenghi – psicoterapeuta milanese di formazione junghiana con due occhi azzurri difficili da ignorare – occupa entrambi gli ambiti da una quarantina d’anni.
È stata giornalista, attivista politica, moglie di Luca Boneschi (l’avvocato di Pietro Valpreda), fondatrice della rivista Re Nudo con il fratello Majid, responsabile della scuola di psicoterapia di Milano, consulente nelle carceri di Opera e Bollate, saggista e giallista. I suoi libri sono finestre aperte sulla psiche, con molta voglia di comprendere e spiegare, pochissima di giudicare, a meno che racconti degli adulti compratori di bambine nel Sud del mondo. L’amoralità – alfa privativo – non prevede presa in carico, ma solo denuncia dell’orrore.
L’ultimo titolo, uscito per Moretti&Vitali, ha l’irrimediabilità dolorosa delle sentenze definitive: La passione necessaria. Come sempre, a ispirarla è la pratica psicanalitica quotidiana. «Il numero di persone che vivono senza passione è in aumento esponenziale. In questi quarant’anni di psicanalisi, la passione è andata scemando, raggiungendo dei picchi veramente negativi. Oggi è desaparecida. Appartengo a una generazione vissuta di passioni e conoscenza: ho ancora davanti agli occhi Mario Capanna che fa il suo discorso in latino nell’aula di Strasburgo… Le passioni erano tante, dalle droghe al ’68, dall’obiezione di coscienza alla voglia di rivoluzione. Passione voleva dire non adattarsi all’esistente, animati dalla speranza e dalla gioia di vivere. Chiedevamo di vivere a mille, di provare tutto. Oggi la domanda è diventata: a cosa mi serve? Cosa ci faccio? Non sono curiosi, non sentono la fibrillazione».
Un approccio totalmente diverso: detto così, suona molto triste.
«Soprattutto perché parliamo dei giovani, che scelgono l’università non in base ai loro sogni, ma alle esigenze di mercato. Anche la legge dell’immagine è molto dominante. Non è solo tatuaggi, mode o immagine fisica, ma un modo di essere nel mondo. Essere giovani rampanti professionisti significa tirare coca, sbronzarsi al sabato sera, fare sesso da ubriachi. È lo stile di vita proposto dai media e dai social, dagli influencer. Oggi questo conta».
Un modello sociale che genera personalità a rischio.
«Si chiamano armi di distrazione di massa. Nel ‘700, Luigi XIV voleva poter esercitare la monarchia assoluta, senza interferenze o ribellioni. E allora, per impedire alla piccola borghesia di appassionarsi alla cosa pubblica, ha fatto Versailles. Ha inventato delle mode costosissime, balli, cacce, abiti, intrighi amorosi…. Tutto quello che il film di Rossellini raccontò così bene. Mi piace pensare che l’abbia fatto con un proposito di denuncia sociale, che lo sapesse».
Acquisito il modello, non si fa altro che riproporlo a livello globale.
«Certo. Il sistema è lo stesso: la convergenza di interessi dei grandi gruppi internazionali, ben decisi a far sì che i giovani non pensino a come cambiare il mondo, ma a come vestirsi. Anche quarant’anni fa ci si identificava anche attraverso gli abiti: ma gli eskimo e gli anfibi erano una necessità anti-freddo, partivano dal basso e non da un sistema che decideva cosa devi desiderare. Il guaio è che i social non fanno pensare, propongono una non-realtà. Non voglio dire che sia tutto sbagliato. Ci sono aspetti negativi come gli influencer e positivi come le sardine. Sono andata alla manifestazione di Milano, 25.000 ombrelli contro l’odio sociale mi sono sembrati un bellissimo segnale».
La mancanza di passione si riflette anche nelle relazioni interpersonali?
«Moltissimo. Nel sesso, il desiderio è imposto dal mercato. Dicono: “Per me il massimo è fare sesso davanti a un video porno”. Capisce? Meno faticoso. Ma questo comporta la standardizzazione dell’immaginario, la caduta dei sensi lenti: olfatto, tatto e gusto. Non tocchi, non annusi, non lecchi… Non ci si innamora. Alla domanda-test: hai mai perso la testa? Un paziente ha risposto: “Sì, purtroppo. Mi sentivo un wurstel sulla graticola, non mi succederà mai più. Innamorarsi… queste sono le storie della mamma. Innamorarsi è un virus, non si mangia e non si dorme, bisogna evitare il contagio”. Sono reazioni che mi rattristano. Sono freddi questi giovani».
Sembra sfiduciata.
«Non ci sono mali irrimediabili, tutto cambia. Questo è un periodo di decadenza. Io da psicanalista cerco sempre di costruire nuovi spazi di libertà, individuali e collettivi, lavoro per la liberazione della carica passionale. Che fa parte del nostro essere, sempre: i bambini gattonano, mangiano, toccano, provano. I cani non usano il pensiero e sono ripetitivi, noi abbiamo l’interesse. È istintivo, fa parte del nostro patrimonio: coscienza e pensiero. Risvegliare l’anima in senso laico significa riattivare la sinergia tra mente, cuore e sensi».
Quali patologie sono cambiate?
«Una volta erano l’insicurezza, i problemi sessuali o la mancanza di aggressività. Oggi sono i valori non negoziabili, mai tanto pallidi. Che cosa mi serve e non che cosa desidero. Le famiglie hanno delle responsabilità enormi. Aumenta il numero dei ragazzini che non vanno a scuola. I genitori chiedono: “Stai bene, stai male, fai sport…”. Stanno zitti davanti alla televisone e al computer. Non comunicano. I ragazzi vivono la loro vita sugli schermi. Per avere la passione bisogna allargare gli spazi. Tutti quelli che hanno a che fare con i giovani hanno questo compito sacro. Dalla libertà nasce tutto il bene possibile. Guai a dimenticarlo».