A tarda sera, neanche ancora notte, quando tutti sanno chi ha vinto, Vincenzo Bianconi si presenta da solo davanti ai giornalisti, con un gilet grigio e le mani che non sanno dove andare: «Abbiamo perso. Ho perso», si corregge. «Mi prendo la responsabilità di questa sconfitta». E si commuove, quando dice che «voglio insegnare ai miei figli che ci sono battaglie che vanno combattute anche quando sai che non vincerai».
Parole eleganti, e coraggiose, specie per uno che sta lì da solo, abbandonato da chi, appena un mese fa, l’aveva messo in quel posto come «l’utile intelligente»: l’uomo perbene, anzi perbenissimo, a fare da figurina e collante per due partiti e leader che non hanno la più pallida idea di cosa fare per non perdere contro Salvini.
47 anni, un’eccellenza italiana nel campo degli alberghi, l’uomo era diventato il simbolo della ricostruzione umbra post-sisma, ma non ha mai fatto politica. Era stato improvvisato candidato meno di due mesi fa, come volto pulito di un accrocchio Pd-M5S fondato solo su una strategia anti-salviniana. Il programma? «È ora di ricostruire il futuro dell’Umbria», ovvero nessuno. Il candidato? «Non mi sono mai tirato indietro dinanzi alle sfide che la vita mi ha posto», ovvero solo storytelling.
Franceschini parlava della candidatura di Bianconi come «un altro passo verso la creazione di un campo riformista in grado di battere la destra». Zingaretti la definiva una candidatura «bella e forte». Difficile crederlo, visto che prima di lui erano stati corteggiati, invano, almeno altri cinque candidati (Andrea Fora, ex presidente di Confcooperative; Stefania Proietti, sindaca di Assisi; Catia Bastioli, presidente di Terna; Brunello Cucinelli, l’imprenditore del cashmere; Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi). Bianconi era stato l’unico ad accettare, convinto giustamente di poter vincere quella battaglia contro una politica esperta come Donatella Tesei. Nulla da fare.
Adesso, a serata, l’uomo osannato dai due leader di partito come il volto del cambiamento (un Giuseppe Conte a livello regionale) viene scaricato nel giro di un exit-poll. Zingaretti si limita a una nota: «Rifletteremo molto su questo voto e le scelte da fare». Il Movimento a un post: «Il nostro esperimento (di alleanza col Pd, ndr) non ha funzionato».
Entrambi guardano alla Calabria e all’Emilia Romagna, prossime regioni al voto. E sopratutto, guardano al modello di governo. Si chiedono, si chiederanno, se abbia senso allearsi ancora ed essere comunque asfaltati. E se abbia ancora convenienza rimanere in un’esperienza logorante all’esecutivo. Le uniche certezze finora sono due. La prima: il modello del candidato improvvisato, privo di una copertura massiccia dei partiti o di una promessa fortissima da vendersi agli elettori, non funziona. La seconda: nessuno di quelli che hanno veramente perso si è fatto vedere in Umbria.