Numero speciale con me in cover e siccome ancora non ci credo, o meglio non ci credo da mai, ho subito pensato al GIORNO, quello che tutti hanno raccontato e io mai.
Le origini del PERCHÉ!?!?!?!?!?
Abito in una palazzina a vicolo di Monte Arsiccio zona Trionfale, il quattordicesimo quartiere di Roma, con mamma, papà, Andrea e Barbara. Faccio danza per non stare troppo in strada a giocare sotto al palazzo, perché il quartiere è tranquillo ma le paure di mia madre no.
Quella domenica mattina Clelia, la mia insegnante di danza, porta me e le mie quattro colleghe ballerine al Palatino per un provino… che tra l’altro fa pure rima e me ne accorgo solo ora a distanza di 28 anni da quella giornata «sliding doors…in faccia!».
C’è davanti a me il gruppo più numeroso di ragazzine mai visto prima, che l’unico posto così affollato che io abbia mai vissuto è stato il concerto al PalaEur (oggi ribattezzato Palalottomatica) di Marco Masini. Clelia ha scavalcato tradizioni, usi e costumi di tutta Italia, la fascia subito avanti a noi è la Puglia, dopo la Campania, poi la Calabria, solo molto più in là, zona prima fila, il Nord Italia. La nostra scuola «Europa Ballet School» ha il numero 1.200, noi alunne di conseguenza, questo vuol dire che entreremo tra circa tre ore.
Ripassiamo ossessivamente il balletto. La coreografia è un mix sorprendente flamenco/funky sulla musica dei Queen, nello specifico Innuendo per il flamenco, il pezzo che fa «TATTARATTATTATATTATTARATARATA» e quello di «I’m the invisible man, I’m the invisible man, HAU!»…
Possiamo farcela. Abbiamo indossato il body buono, quello utilizzato per le grandi occasioni, color carne dove serve e color oro dove non serve, le scarpe incrociate anche dette «PARISI» proprio in onore del nostro mito Heather… e Lorella Cuccarini aggiungo io. Clelia l’ha ordinato per un saggio ispirato al famoso film A Chorus Line di Richard Attenborough, che per noi è stato super emozionante, mi ha fatto sentire vicina al mio mestiere di ballerina.
Finalmente tocca a noi, sudo, il cuore l’ho messo in pausa perché batte troppo velocemente, gli occhi sono come quelli di una che ha visto «Cose che voi umani»… ecc… ecc…
Entro in uno studio televisivo, c’è una pedana al centro, la telecamera inquadra la mia faccia e quella delle altre colleghe, dietro a tutti questi strati di tecnici e macchine e luci… c’è lui. Gianni Boncompagni?!?!?!?! Vestito con una tuta bianca e gli occhialoni fumé che non lasciano la possibilità a nessuno di guardarlo negli occhi.
Io vengo dalla periferia e per natura sono diffidente, ho lo sguardo di una che risponde senza la domanda. La risposta di solito è «C@@@O voi?», frase disarmonica se poggiata su di un viso d’angelo con rossettino rosa perlato marca Deborah, comprato al supermercato con mia sorella.
Mi chiamano, salgo sulla pedana bianca e mentre sto per ripassare il mio balletto… parte a tradimento Please don’t go, famosissima hit di quegli anni che per molto tempo sarà l’involontaria colonna sonora della mia vita professionale. Attimi di «cellule impanicate» scorrono in modo parecchio visibile sul mio viso, sul corpo, fino ad arrivare al cervello frizzato. E cinque e sei e sette e otto… forza Ambra balla cazzo!
Mi butto in un ballettino infilato a forza su di un’altra musica che non avevo previsto, vedo gente ridere, lui sorridere, buio.
Scendo dalla pedana e da tutto il resto.
Vado via ubriaca pur essendo astemia e scrivo il mio numero di casa con un pennarello che magicamente storpia un 5 che diventa un 6.
Non chiama nessuno, non ce l’ho fatta ma sono serena, era davvero impossibile che passassi proprio i… DRIN DRIN DRIIIIN… «Ti hanno cercata ovunque, lunedì siamo al Palatino, dillo ai tuoi».
Sono nata così, come un bellissimo errore.