Non c’è falsa modestia né atteggiamento schivo in Aiello, cognome e nome d’arte di Antonio, il trentaquattrenne di Cosenza, trapiantato a Roma da dodici anni. Aspettava questo momento da sempre, da quando cantava davanti allo specchio sognando di diventare una pop star. Le prime canzoni a sedici anni, i viaggi, tra Londra e Australia, l’università e la musica, sempre: «A 28 anni ho pensato di mollare e in quel momento ho smesso di voler diventare famoso. Ho scritto per mio nipote Emilio in modo che potesse dire, ok, non se lo filava nessuno, ma senti quanto era bravo zio Totò». Invece è arrivata Arsenico, oggi ha più di sei milioni di stream. Quindi La mia ultima storia, con gli stessi ingredienti di note romantiche per storie d’amore finite male. Il 27 settembre è uscito Ex Voto, il suo primo album, in una tracklist tra pop, indie e r&b. Lo incontriamo nella sua nuova casa discografica. Barba spettinata, cerchietti alle orecchie, abbigliamento che rivela la passione per la moda, modi affascinanti.
Chi era Antonio prima di diventare Aiello?
«Ero quello diverso, da sempre il mio valore aggiunto. Mi vestivo strano, volevo il palcoscenico anche se andavo all’università. Ero la pecora nera, come quella che ho tatuata sul braccio. Sempre pieno di entusiasmo».
La sua scrittura però sembra nascere dal dolore.
«Un’estate fa ho pensato che avrei avuto il cuore a pezzi per sempre. Le canzoni sono nate lì. Ho scritto e buttato fuori tutto. E poi mi sono sentito più leggero».
Nella Mia ultima storia parla di «quattro anni». È quanto è durata?
«In realtà è uno spaccato di tempo. La mia unica grande storia d’amore è finita diversi anni fa. Tendo a mescolare, mettendoci molta verità, ma non solo mia».
Si è chiesto perché piace così tanto?
«Quando vivi cose in maniera molto forte ti crei un bagaglio di esperienze che, se scrivi canzoni, diventano robe potenti».
Le sue canzoni sono potenti?
«Secondo me sì. Non faccio il finto modesto. Hanno una scrittura che trovo unica. La mia musica può piacere o no, ma è evidente che è nuova. È autentica, è scritta a terra».
In che senso «a terra»?
«La pianola è sul pavimento, davanti al mio finto caminetto. Ho una casa carina, ma non c’è molto spazio».
Dove si posiziona, in questo momento musicale?
«Non voglio essere il poppettaro, l’ennesimo indie, il soul man. Voglio avere la mia personale cifra stilistica».
Quindi non le chiedo se è di destra o sinistra?
«Ho idee a prescindere. Il mio messaggio è chiaro, credo nell’incontro, non devo fare il comunista o il fascista per dire che aprire le braccia e accogliere le persone è importante. Cantare d’amore è la prima forma di politica».
Canzoni record di stream, le due date live sold out in 48 ore. Si monterà la testa?
«Penso proprio di no. Non importano gli autografi, ma solo che ora devo cantare, suonare, scegliere il fotografo, pensare alle grafiche. Il “ti amo” della fan mi fa contento, ma non è per questo che scrivo canzoni».
Perché le scrive?
«Perché non dormo».
Che cosa sogna ora?
«Che la mia copertina tra dieci anni sia nei libri di storia della musica. Che parlino di me per dire che finalmente è arrivato il nuovo pop. Voglio che ci sia il mio nome».