Ci sono storie di finzione che sembrano vere: il Racconto dell’ancella di Margaret Atwood è una di queste. Ci sono poi storie vere che, per la violenza assoluta, arbitraria, che riportano, sembrano uscite dall’immaginazione. I ragazzi della Nickel di Colson Whitehead appartiene a questo secondo tipo. L’autore, conosciuto soprattutto per il romanzo La ferrovia sotterranea che, nel 2016, vinse il Pulitzer e il Booker Prize e fece poi il giro del mondo come memento di come gli Stati Uniti dell’era Trump potrebbero tornare a essere. Scrittori come il newyorkese Whitehead, lo texano George Saunders e Jesmyn Ward del Mississippi stanno, negli ultimi anni, ricostruendo pezzo a pezzo quelle zone d’ombra della storia americana in ottime opere di fiction basate su episodi documentati. Nei Ragazzi della Nickel (Mondadori, pagg. 216, € 18,50; traduzione di Silvia Pareschi) Whitehead segue le vicende del ragazzino di colore cresciuto dalla nonna Elwood Curtis, fan di Martin Luther King e James Baldwin, al quale nei primi anni Sessanta viene offerta la straordinaria opportunità, lui così innamorato della cultura, di frequentare il college. Il primo giorno di lezione però, dopo avere accettato un passaggio dalla persona sbagliata, si trova sbattuto per un equivoco dentro la Nickel Academy, un riformatorio che usa metodi che vanno oltre il sadismo per mantenere uno status quo di terrore e violenza. L’autore è al Festivaletteratura di Mantova per presentare il romanzo, appena uscito in Italia.
Colson ricorda la prima immagine che ha avuto di questo libro?
«Lessi di questi eventi su alcuni quotidiani della Florida. In quegli anni era uscita fuori la storia di questo riformatorio, la Dozier School for Boys, dove i ragazzi venivano trattati al limite della schiavitù. Poi alcuni ex studenti scrissero dei memoir sulla loro esperienza, e vennero anche ritrovate delle ossa umane sepolte in un cimitero segreto. Volevo capire cosa fosse successo agli studenti afroamericani, che occupavano la parte nord del campus».
Ci sono due tipi di scrittori, quelli che vanno a pesca nella Storia e quelli che pescano nella loro storia personale. Lei in quale dei due si identifica?
«Dipende su cosa sto lavorando. I miei ultimi due libri sono più storici, e per scriverli ho dovuto fare molte ricerche. Non ne ho fatte per Zona uno, invece, che parla di zombie. Per Sag Arbour, che è una storia di formazione ambientata negli anni Ottanta, avevo ascoltato molta musica e guardato molti film di quell’epoca. Ecco, io passo dal fare molta ricerca, all’invenzione pura».
È vero che non ama scrivere due libri consecutivi dello stesso genere?
«Sì. Il prossimo sarà un crime ambientato nell’America degli anni Sessanta. Molto diverso quindi dagli ultimi due, con anche delle parti divertenti. Quando finisco di scrivere un libro sono stufo di quello che ho fatto, perciò mi dedico sempre a qualcosa di nuovo».
Elwood è un ragazzino che cerca di restare razionale e umano anche in un ambiente di estrema violenza, mentre il suo amico e «compagno di scuola» Turner è uno che passa all’azione, che reagisce. Secondo lei qual è l’atteggiamento più efficace?
«Non saprei. In questo momento io mi sento di più Turner sia per quel che riguarda quello che possiamo fare come esseri umani, sia sulla direzione in cui sta andando il mio Paese e il mondo. Non c’è un’unica filosofia che può funzionare sempre, quello che serve è trovare un mix che possa andare bene in varie occasioni».
Chi sono i «Nickel boys» nel mondo di oggi?
«Si tratta chiaramente di una storia situata in un luogo e in un tempo specifici, ma viaggiando molto per il libro sono venuto a conoscenza delle Home for Unwed Mothers irlandesi, dove sono stati trovati corpi di neonati, e delle Residential School in Canada, dove bambini nativi venivano allontanati dalle famiglie per essere educati come dei “bianchi” e dove succedevano le stesse cose della Nickel. Quindi, i Nickel boys sono ovunque coloro che hanno il potere sentono di potersela cavare commettendo abusi su chi il potere non ce l’ha».
Invece, dove ha trovato, viaggiando, degli esempi positivi?
«Da nessuna parte, penso che tutti i Paesi siano spacciati, da questo punto di vista».
Ha dei modelli a cui si è ispirato nella vita?
«Toni Morrison e anche Stan Lee, l’inventore di Spider-Man, perché i suoi fumetti parlano di persone normali che hanno però poteri speciali. Ero un grande fan della Marvel e della fantascienza. I miei modelli erano più nella cultura pop e nei libri che nelle persone in carne e ossa».
Nel libro scrive: «La giustizia della Nickel dipendeva solo dal caso». Lei crede nella giustizia?
«Non posso parlare per il sistema della giustizia italiana, ma quello americano è corrotto e difettoso. Quindi no, non credo in questo sistema».
Una curiosità: se non avesse fatto lo scrittore, cosa avrebbe voluto fare nella vita?
«Se devo essere sincero, il supervisore musicale in uno show tv».
La foto di Colson Whitehead di Michael Lionstar.