Si parla già di evento e non è una novità quando si fa riferimento a Chiara Ferragni. Lungo il corridoio dell’hotel Excelsior, a Venezia, l’imprenditrice digitale cammina svelta e a passo sicuro, quello di chi sa di aver cambiato le carte in tavola, o per lo meno ridefinito parte di quello scenario social che nel documentario Unposted il direttore di Vanity Fair, Simone Marchetti, descrive come «una giungla, un Medioevo digitale di cui stiamo ancora aspettando il Rinascimento». Il motivo è che non esiste ancora un codice etico, non ci sono delle regole definite, e ognuno può accedere a qualsiasi pubblico divenendo a tutti gli effetti un creatore di contenuti. «Non c’è un linguaggio codificato come per cinema e televisione», incalza la regista Elisa Amoroso durante l’incontro con la stampa alla 76esima Mostra del cinema, dove il film è stato presentato in anteprima: «Siamo all’inizio del caos e con questo documentario volevamo sollevare interrogativi, non celebrarne la caoticità. Unposted è un ritratto di Chiara, ha quell’intento, ma lei mi ha dato la possibilità di dare voce anche a questo aspetto della nostra società».
https://www.youtube.com/watch?v=z1jzXzNQcxk&feature=youtu.beChiara Ferragni si è dunque esposta nuovamente per mostrare la sua vita professionale e privata e per essere, ancora una volta, totalmente trasparente con i suoi fan.
Chiara, come si è sentita a essere vista e rappresentata per la prima volta dagli occhi di un’altra persona?
«Ero molto spaventata nel far raccontare la mia storia a un’altra persona. È da quando ho sedici anni che mi racconto attraverso i social, prima di Instagram. Lasciare il potere a qualcun’altra è stato strano, ma Elisa ha una grande sensibilità ed è riuscita a toccare temi profondi della mia vita personale e lavorativa. Mi ha fatto scoprire parti di me che non conoscevo. Come mia madre, che è ancora più importante nella mia vita perché è stata lei che mi ha insegnato ad essere quella che sono e che ha fondamentalmente utilizzato lo stesso modo che ho io di raccontarmi. Tutto è nato infatti con i filmini di famiglia, la differenza è che io li pubblico sui social».
Lei è il vero evento del Festival di Venezia quest’anno. Come ci si sente ad essere acclamata più delle star di Hollywood?
«Per me è un onore essere qui oggi. Quando me lo hanno comunicato non ci volevo credere ho pianto e brindato con i miei amici. Abbiamo iniziato a girare poco prima del matrimonio e il sogno era proprio quello di portarlo a Venezia. Sembrava troppo grande e invece eccoci qui, ma non mi paragono assolutamente ai divi di Hollywood. Unposted è tutt’altra cosa».
Quale è il suo rapporto con il cinema? È stata fan anche lei di qualcuno?
«Si, di Leonardo DiCaprio: la prima cotta già dai tempi di Titanic. C’è una scena nel documentario in cui si vede la mia cameretta a Cremona, con i ritagli dei giornali e i poster di DiCaprio. L’ho incontrato ad un evento durante il Festival di Cannes qualche anno fa, ero con una mia amica e abbiamo provato a fare una foto, ma non ci hanno fatto avvicinare. Peccato!».
L’esigenza di fare un documentario da cosa nasce? Dal bisogno di essere ulteriormente accettata?
«L’idea non è nata da me: Netflix mi ha contattato inizialmente, ma non era il prodotto giusto per me, volevano incentrarlo più sulla sfera personale che su quella lavorativa. Per questo abbiamo creato un altro team e realizzato Unposted. In tanti mi chiedono sempre come ho fatto a costruire questo business che ho fra le mani, e il modo migliore di farlo e spiegarlo è stato questo, che in un certo senso possiamo anche considerare come una specie di tutorial, uno strumento che racconta quello che sono a 360 gradi. Far capire il lavoro mio e della squadra c’è dietro, che non si ferma tutto ai soli selfie da pubblicare sui social».
Pensa mai che arriverà il momento di staccare un po’ la spina?
«Mi ricarico velocemente, anche quando mi sento sopraffatta rimango da sola qualche ora, massimo un giorno, e mi sento meglio. Io mi cibo molto di questa energia, mi ha fatto andare avanti anche quando nessuno credeva in me, i momenti di difficoltà mi hanno fatto capire quanto sono importanti i miei fan. In questo momento non sento l’esigenza di eclissarmi, in genere mi serve massimo una giornata offline, ma mai dire mai. Quello che soffre di più questo aspetto è Fedez».
Fedez ricopre un ruolo importante: nella sua vita, e anche nel documentario.
«Ci siamo completati a vicenda, abbiamo caratteri diversi ma che stanno bene insieme. Veniamo da mondi diversi ma ci siamo fatti da soli, e siamo i più grandi fan l’uno dell’altro, anche se mia madre lo è più di me».
Temete che la grande sovraesposizione possa ritorcersi contro vostro figlio?
«Prima che nascesse Leo ne abbiamo parlato e alla fine abbiamo fatto quello che ci è sembrato più naturale. Essendo il figlio di persone celebri abbiamo sempre chi ci segue come paparazzi e fan. Per me lui è la mia gioia più grande e mi si scalda il cuore quando leggo la mole di commenti – perché leggo sia i messaggi privati che quelli pubblici – delle persone che sperano anche loro di avere una famiglia come la mia. Mia madre i video li teneva per noi, ora con i social media è diverso».
Qual è dunque il suo concetto di privacy?
«Per me è un concetto strano. Mi muove il desiderio di condivisione, che mi provoca sensazioni positive. Ma non la condivisione fine a sé stessa, quella solo per ottenere consenso attraverso un mi piace non fa per me. Ci sono tantissimi momenti che non condivido, non c’è una scelta ma è una questione naturale».