La fine di un amore non è né poetica né struggente. Non è né artistica né sognante, né unica né straordinaria. La fine di un amore è banale: sono le mutande comprate al mercato dalla mamma che improvvisamente non sopporti più di vedergli addosso. I suoi amici che dicono sempre le stesse cose. È un preservativo rotto. È il rendersi conto che la prospettiva di essere uniti per sempre non ti dà gioia ma voglia di scappare. È il volere di più di quello che hai, e sentirsi in colpa per il fatto di volerlo. È un fallimento. È la realtà che ti sbatte addosso. È farci i conti.
Guido e Chiara sono una coppia stabile da anni, messa in crisi dalla possibilità di una paternità che non avevano messo in conto ma che diventa possibile a causa di un incidente di percorso. Ma mentre lui è felice di accogliere questo cambio di programma, lei viene assalita dai dubbi, non solo riguardo la gravidanza ma anche sulla relazione stessa. È così che Guido se ne va di casa e passa di divano in divano, ospitato dagli amici che a loro volta affrontano le rispettive relazioni con i loro problemi, le loro paure e le loro certezze.
L’ospite è il secondo film di Duccio Chiarini (il primo, Short Skin, è del 2014) e racconta le fragilità della generazione dei quarantenni di oggi che si trovano a fare i conti con la contrapposizione tra il desiderio di una stabilità familiare e quello di novità e libertà. Il film vanta nella sua colonna sonora un brano inedito scritto da Brunori Sas, che compare anche in un piccolo cameo in cui interpreta live la canzone e recita un piccolo monologo scritto a quattro mani con il regista.
«L’ospite ha una lunga genesi: l’ho scritto 10 anni fa dopo che, finita una convivenza mi ero trovato a passare da divano a divano, ma il progetto si era arenato per problemi vari e mi ero dedicato ad altro. Un paio d’anni fa l’ho ripreso in mano, mi piaceva ancora l’idea di raccontare la fine della relazione ma io ero maturato e non mi sentivo rispecchiato in quella prima versione», racconta Chiarini.«Quindi l’ho rielaborata adattandola a quello che adesso è la mia vita, con la mia fragilità e i miei dubbi di adesso. Mentre stavo finendo di scriverla ho conosciuto Brunori, grazie a una playlist su Youtube che mi ha proposto i suoi brani. Ascoltandoli mi sono reso conto che parlava delle stesse cose di cui stavo parlando io, anche se in maniera diversa, e così gli ho chiesto un incontro e gli ho parlato del film. Lui ha letto la sceneggiatura e ha scritto Un errore di distrazione, che fa parte della colonna sonora del film e che si è prestato a interpretare live recitando in un cameo».
Il brano di Brunori descrive la fine dell’amore in modo sussurrato eppure strettamente reale, così come il film di Chiarini che, proprio con un tono misurato e mai urlato e con una scrittura fatta di esperienze e di dettagli, riesce a descrivere la realtà in modo delicato eppure così vero da farci sentire coinvolti in ogni gesto, in ogni parola. E che ci lascia ai titoli di coda con una domanda: ma quindi l’amore che dura per sempre è una favola che ci hanno raccontato per farci sognare e che nella vita vera non esiste?
«Io non ho una risposta e il film è proprio il tentativo di aprire una discussione. Ho l’impressione che si viva l’amore come un virus: arriva, lo prendi, poi sfebbri e ti passa. Non è un progetto a cui lavori per renderlo solido e farlo progredire. Ma non penso che sia una cosa di adesso, se pensi a Ibsen che raccontava le fragilità della coppia ti rendi conto che è un argomento che esiste da tanto. Forse prima gli argini sociali erano più forti mentre adesso è tutto più libero di fluire, però non so se sia necessariamente un male. Magari questo è un periodo di transizione e tra cinque anni saremo tutti poliamorosi, chissà?» continua Chiarini.
«Un giorno capirai che non c’era niente da cambiare / non c’era niente da rifare / bastava solo aver pazienza e aspettare che le cose che ogni cosa si aggiustasse da sé. Quel giorno capirai che la passione ha una scadenza che è soltanto una scemenza cercare il cielo in una stanza / ma ti piacciono le favole / è più forte di te» canta Brunori ne Un errore di distrazione. E forse per chi gli over trentenni di adesso il segreto potrebbe essere proprio nel non “cercare il cielo in una stanza”, accettando il fatto che la realtà è diversa dalle favole e che ognuno cerca di rincorrere la sua personale felicità, così come Guido che vorrebbe stabilità ma ha la sensibilità di capire le dinamiche delle relazioni degli amici e perfino di chiudere la sua relazione in un modo civile, senza alzare i toni.
«Per me era importante che l’emozione passasse attraverso i gesti e non attraverso urla, caricature. Anzi, per me era fondamentale mostrare le debolezze, quelle che osservo nelle persone che mi circondano ma anche le mie personali. Lo spunto iniziale del film infatti è autobiografico ma io mi sento rappresentato da tutti i personaggi, non volevo giudicare ma solo raccontare la realtà di una generazione in perenne conflitto. Anche per questo la canzone si interrompe con una scena che è per Guido l’ennesima bastonata che ci riporta dalla poesia alla verità, ovvero dei ricordi che sono come un bagaglio che ci portiamo addosso e che tentiamo di nascondere. Ma che sono enormi e come gli iceberg stanno sotto la superficie. Tentiamo di nasconderli mettendo in mostra solo l’esterno, come su Tinder, ma poi la realtà è più complessa di una foto. E per affrontarla ci vuole tempo, come dice Roberta, che nel film è forse il personaggio più maturo. E che a Guido dice: te l’avevo detto di prenderti del tempo».
Nel video in alto un estratto dal film, con un assaggio del brano inedito Un errore di distrazione di Brunori Sas, parte della colonna sonora.