Ci lavoravo insieme ormai da qualche mese. Sapevo che B.C. (iniziali di nome di fantasia) ascoltava brit pop e rock alternativo, le sue battute mi divertivano, e, soprattutto, alla festa di Natale avevamo stretto una silenziosa alleanza alzando entrambe il sopracciglio sinistro in segno di disapprovazione quando M. (altra iniziale di nome di fantasia) – collega alquanto acida – commentò stronzamente il vestito di un’altra collega, molto più simpatica. In quell’occasione ho percepito che le basi per trasformare il nostro rapporto di «solo-colleghe» in qualcosa di più profondo c’erano tutte. Eravamo pronte a entrare nel magico mondo delle «colleghe-amiche».
E così fu. B.C. qualche giorno dopo quella festa, mi invitò a prendere un caffè alla macchinetta, mi guardò dritta negli occhi come a cercare di capire se potesse davvero fare quello che stava per fare e poi sbam: aprì la diga. Davanti al classico caffè dal gusto repellente ma così confortevole per i nostri palati, mi raccontò l’ultimo scontro che aveva avuto con la sua dirimpettaia di scrivania: non ce la faceva più. Quel giorno, B.C. aveva tagliato il nastro che segnava il confine della fiducia sul lavoro, aveva scelto me come sua alleata, e io lei.
Come immaginate, parlare dei problemi di lavoro con un collega può essere liberatorio, sì, ma anche un po’ pericoloso. Ci possiamo fidare veramente? Che cosa ne farà della nostra lamentela? Del nostro segreto? O anche del semplice gossip che gira tra i corridoi. È un passaggio che richiede molta attenzione ma che, secondo alcuni studiosi, fa bene perché crea nuovi legami e rende l’ufficio un luogo più accogliente, ci fa sentire meno soli. «Le mie ricerche dicono che quando due persone iniziano a condividere i problemi sul lavoro hanno buone possibilità di creare un’amicizia vera, perché richiede molta fiducia farlo», spiega al giornale americano The Cut Patricia Sias, professoressa di comunicazione all’Università dell’Arizona, specializzata sul tema dell’amicizia tra colleghi.
Poi, continua Sias: «Se lavori otto ore accanto a qualcuno, è molto probabile che, se c’è connessione, la relazione si trasformi in qualcosa di più profondo». Più o meno, il percorso per trasformare la colleghitudine in amicizia è sempre lo stesso, spiega Sias. Iniziamo riconoscendo «i nostri simili», poi proviamo a connetterci allargando il campo della conoscenza alla vita privata con domande che non riguardano strettamente il lavoro tipo: «Come è andato il weekend?», «Dove andrai in vacanza?». Sono domande necessarie per comprendere più profondamente la persona che abbiamo davanti, i gusti, i valori, e se davvero ci assomiglia. Poi, quando ci è chiaro di essere di fronte a il/la collega giusto, si ritorna sull’argomento lavoro provando a condividere di più, lamentele e frustrazioni comprese. Di solito ci azzecchiamo, dice Sias: «Capiamo facilmente chi si aprirà con noi e chi invece non lo farà, di chi ci possiamo fidare e di chi no, alla fine è un esercizio che facciamo sin dai tempi del liceo».
Con i colleghi-amici, ammettiamolo, condividiamo anche i pettegolezzi. Molti considerano il fare gossip in ufficio una cosa negativa, e lo può essere in alcuni casi. La pensa diversamente Matthew Feinberg, professore della Rotman School of Management di Toronto, che crede che non ci sia niente di più sano della condivisione di un certo tipo di gossip sul luogo di lavoro, perché, secondo lui, può fare bene. Addirittura lo definisce un comportamento altruistico: «Certi gossip possono mettere in guardia sul comportamento sbagliato di un collega, aiutano nel caso di ingiustizie a renderle di dominio pubblico». Per esempio, se ci sono differenze di stipendi tra chi ha la stessa carica, condividere certe informazioni può rendere il luogo di lavoro più equo. «Nelle nostre ricerche», dice Feinberg, «abbiamo visto che quando assistiamo a qualcosa di ingiusto e ci arrabbiamo, il nostro cuore batte più forte, il nostro fisico ne risente. Condividere con altri quello che siamo venuti a sapere ci riporta invece alle condizioni normali, ci fa stare meglio».
In realtà, non è facile decretare se fare gossip in ufficio faccia bene o sia deleterio all’ambiente lavorativo, nonostante quello che dice il professor Feinberg, sappiamo che dipende molto dalle situazioni, dalla portata del gossip e da quanto sia fondato. È invece chiaro che avere un amico, una persona fidata sul lavoro è importante perché rende la nostra vita migliore. Per questo, sarò sempre grata a B.C. per aver alzato il sopracciglio sinistro nel momento giusto.