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Emilia Garito: «Dobbiamo progettare e decidere il futuro se non vogliamo subirlo»

Parla la fondatrice di «Quantum Leap», esperta di Intelligenza Artificiale, fermamente convinta che il progresso vada di pari passo all'etica e che in Italia c’è ancora spazio per innovazione e talento
Le persone non servono
Al posto tuo
Intelligenza Artificiale - Le Basi
Uomini e macchine intelligenti

Digitalizzazione, intelligenza artificiale, innovazione e trasferimento tecnologico. Le sfide sono molte e adeguarsi non è una scelta, ma una necessità per rimanere rilevanti nei processi professionali. Le organizzazioni, pubbliche e private, disporranno ancora di poco tempo per sperimentare e acquisire familiarità con strategie e tecnologie che le proiettino in un mondo cosiddetto «AI-first», ovvero guidato dalle Intelligenze Artificiali.

Siamo tutti in corsa e il tempo stringe. Lo sa bene Emilia Garito, ingegnere informatico, tra i massimi esperti di Trasferimento Tecnologico per le imprese e i centri di ricerca e progetti di formazione sull’Open Innovation, ceo di Quantum Leap IP, società di consulenza specializzata nella crescita e nella diffusione dell’Innovazione.

Non bastasse, la Garito è membro della Task Force sull’Intelligenza Artificiale (IA) promossa da AgID (Agenzia per l’Italia Digitale) e della Research Executive Agency della Commissione Europea per la valutazione dei progetti nel settore dell’Intelligenza Artificiale e della Robotica. Con lei abbiamo scambiato un’illuminate conversazione sulla corsa all’innovazione, di IA, ma anche sull’importanza dell’etica e della filosofia, di gap di genere (che non esiste) e del genio italiano da preservare.

Come mai ha scelto di studiare Ingegneria informatica?
«Sin da piccola ho sempre avuto due obiettivi, o meglio due immagini di futuro: dedicarmi ad un’attività creativa e/o dirigere un’impresa o un team per creare qualcosa di nuovo. Studiare Ingegneria Informatica è stato quindi un buon punto di partenza per iniziare a occuparmi di tecnologia e al contempo acquisire un metodo rigoroso di gestione del lavoro».

Ho letto che ha anche atudiato Filosofia. In che modo l’umanesimo si può conciliare con la tecnologia, in particolare con l’IA?
«Credo che sia imprescindibile un approccio etico all’innovazione, ove di fatto innovare significa migliorare la vita nella quotidianità. Al contrario quella tecnologia che sottrae tempo ad altre cose della nostra sfera personale e professionale – come spesso capita di vedere – non può definirsi progresso tecnologico. Per questo credo che la filosofia ci aiuti a sviluppare un necessario pensiero critico e, quindi, ad accostare all’idea di progresso la sua funzione etica. Non possiamo più permettere una crescita disomogenea, irrispettosa dell’ambiente e delle differenze sociali. E la centralità dell’uomo è fondamentale soprattutto nella programmazione dell’intelligenza artificiale, perché sarà la tecnologia abilitante della nuova struttura socio – economica almeno dei prossimi 30 anni. Penso sia importante capire l’urgenza di sviluppare una riflessione più articolata rispetto al tema dell’interazione uomo-macchina e di pensare che la finalità dell’intelligenza artificiale dovrà necessariamente essere quella di incrementare le capacità dell’uomo, migliorando la sua vita, piuttosto che di renderlo completamente sostituibile dalle macchine».

C’è qualcosa che ha incoraggiato la sua ricerca sull’Intelligenza Artificiale?
«Credo che la mia forma mentale sia stata molto forgiata dalla scoperta del funzionamento degli algoritmi e proprio da lì credo sia nato l’interesse per il legame tra filosofia e matematica, che ancora oggi è alla base di quella curiosità che mi spinge ad affrontare nuovi ambiti di conoscenza e di applicazione dell’IA (come la tecnologia Avatar). L’occasione però che mi ha permesso di entrare a fondo nel tema dell’IA è stato l’incontro con XPrize – fondazione no profit impegnata nella realizzazione di competizioni in diversi settori di Innovazione con incentivi e premi volti a offrire una soluzione alle importanti sfide per l’umanità. Oggi però sono molto attenta allo sviluppo dell’IA non solo per interesse professionale: i tempi in cui viviamo sono troppo delicati e rapidi per essere ignorati ed è proprio questa rapidità, ovvero questo cambio di accelerazione rispetto al passato che richiede un’attenzione diffusa e condivisa verso tecnologie esponenziali, al cui sviluppo tutti dobbiamo prenderne parte in maniera consapevole. Solo così potremmo non farci trovare impreparati dal progresso e potremmo forse orientare a nostro vantaggio la trasformazione digitale della specie umana».

L’IA non fa più paura e se ne parla sempre di più. Cosa è successo?
«In questi ultimissimi anni si è iniziato a fare divulgazione in due direzioni completamente opposte: da un lato c’è il mondo della ricerca scientifica che dimostra come siamo ancora lontani da quella che chiamiamo Intelligenza Artificiale Generale – intesa come tecnologia capace di sostituire l’uomo nelle sue caratteristiche più umane quali la creatività, l’intuito, etc..; mentre dall’altro lato ci sono gli entusiasti – spesso affiliati a imprese tecnologiche – i quali sono invece convinti del contrario e si applicano affinché in tempi brevi l’IA sostituisca l’uomo o addirittura ritengono che “l’uomo diventerà schiavo dell’Intelligenza Artificiale” -per citare il fondatore di una società che si occupa di analisi semantica dei dati. In entrambi i casi le discussioni sull’IA si scindono tra apocalittici o integrati. Questo ha fatto sì che oggi una materia così complessa e complicata sia un argomento di discussione di tutti, e questo è un bene perché è importante coinvolgere la società tutta nella trasformazione in atto. Ma indipendentemente da quella che potrebbe essere la realtà circa lo stato dell’intelligenza Artificiale, la sua capacità effettiva e programmabile e l’interesse che oggi suscita, dobbiamo essere noi a deciderne il ruolo che vogliamo dargli nel futuro. Per questo è sicuramente utile un dibattito aperto e inclusivo che porti ad una regolamentazione dell’uso delle applicazioni di Intelligenza Artificiale e dei dati a livello centrale e globale, senza discriminazioni di regione o settore».

L’Europa ha stanziato fondi per la ricerca sulla IA. Che cosa manca all’Italia invece per essere pronta alla Digital transformation?
«La lungimiranza dell’Europa è stata quella di aver stanziato risorse e aver definito come utilizzarle con l’obiettivo di rendere più competitive le PMI attraverso robotica e AI. Ma anche di rafforzare la cooperazione tra i Paesi più forti e quelli meno forti dell’Unione Europea e al contempo tra ricerca e industria. L’Italia ha accesso a fondi nazionali e comunitari, ma non ha una visione sistemica e di lungo periodo su come utilizzarli. Inoltre, se consideriamo i continui cambi di agenda politica, questo sicuramente complica la posizione dell’Italia nella corsa ad una trasformazione digitale positiva. L’Italia dovrebbe prima di tutto avere un’idea di Paese del futuro partendo dalle reali capacità industriali e imprenditoriali e valorizzando queste sopra tutto il resto. L’economia del nostro Paese si basa sulla resilienza delle PMI e sul successo di poche grandi imprese: è da qui che si deve partire con un piano di investimenti che deve mirare alla crescita organica di queste realtà. In secondo luogo, è necessario perfezionare un piano di sviluppo di lungo periodo che sia resistente ai cambi di agenda politica e punti a valorizzare tutte le nostre eccellenze tecnologiche, partendo dalla Ricerca. La collaborazione tra Ricerca e Industria in questo quadro può essere un acceleratore nella produzione di Innovazione nel nostro Paese. Esistono vari fondi italiani che operano in questa direzione, ma vedo molta frammentazione in termini di competenze e capacità decisionali che possano creare un volano davvero positivo, come accaduto in Olanda, in Germania, e naturalmente in Israele. Infine, se pensiamo che l’Italia è il secondo paese al mondo per indice di invecchiamento, dopo il Giappone, allora dovremmo accogliere la sfida lanciata proprio dal Giappone di creare una Società 5.0 basata sull’Intelligenza Artificiale che migliori la vita degli individui e aumenti le loro capacità prestazionali, piuttosto che sostituirle, per consentire a tutti di rimanere dentro la società del futuro indipendentemente dall’età biologica di ciascuno. Questo porta grandi vantaggi economici e sociali, come possiamo immaginare, ma può essere realizzabile solo se si costruisce una visione del come fare e del perché il più possibile chiara e coerente».

Quale sarà secondo lei l’impatto sull’occupazione della IA?
«Auspico che saranno i Governi a decidere l’impatto che l’intelligenza artificiale avrà sull’occupazione. Così dovrebbe essere perché soltanto attraverso una regolamentazione corretta sarà possibile gestire i tempi di assorbimento dell’Innovazione tecnologica del XXI secolo. La vera sfida sarà questa, nel settore dell’intelligenza Artificiale come della genomica, e saremo in grado di vincerla se insieme come individui, governi, società, ricerca e industria sapremmo fare delle scelte sostenibili. Certo, alcuni lavori che portano con sé dei rischi anche di salute potranno anzi dovranno scomparire, ma l’interazione uomo-macchina può essere ancora pensata in maniera da lasciare all’uomo la manovra di una parte di funzioni in qualsiasi ambito produttivo. Per farlo bisogna intendere il progresso in maniera etica e inclusiva e cercare una certa gradualità di implementazione per avere il tempo di educare le popolazioni, giovani e anziane, al cambiamento senza grossi scossoni sociali ed economici. Dobbiamo progettare e decidere il futuro, se non vogliamo subirlo, partendo dai problemi per i quali trovare le soluzioni con le giuste competenze, e in questo lo sviluppo tecnologico degli ultimi decenni ci viene sicuramente incontro. Infine, è necessario che l’obiettivo del mutamento sia chiaro e condiviso e fondato ancora una volta sulla centralità dell’uomo non più inconsapevole prodotto tecnologico, ma cosciente consumatore finale. Questo obiettivo si raggiunge solamente attraverso la formazione e la valorizzazione delle eccellenze, e al contempo attraverso un uso corretto e quindi etico delle tecnologie. Oltre a una nuova cultura dell’Innovazione in cui anche le grandi imprese del digitale – Facebook, Amazon, Google, etc.. sentano propria la responsabilità di questo fine».

Si parla della necessità per le ragazze di appassionarsi e studiare le materie STEM. Che cosa si potrebbe fare per aumentare l’interesse?
«Io credo che inevitabilmente in futuro le ragazze saranno più appassionate nei confronti di queste materie perché oggi nascono già immerse nel digitale. Le mie figlie ad esempio hanno un interesse, ma anche una predisposizione a usare le nuove tecnologie che mi colpisce ogni volta. Dal software per la musica elettronica a invenzioni utili per la quotidianità. Credo quindi che questa attitudine alla ricerca, all’invenzione, sia naturale e porterà ad abbattere le distinzioni tra maschi e femmine. Sicuramente c’è ancora molta strada da fare a partire dalle differenziazioni che vengono fatte, anche a livello di prodotti commerciali, sin dai primi anni d’età: ai maschi il pallone, alle ragazze le bambole e la cucina. Bisogna evitare i giochi che distinguono i gusti. Indispensabile invece sarà immaginare percorsi educativi in linea con le trasformazioni antropologiche che evidenzino le reali differenze tra uomo e donna, ma non ne facciano una discriminazione in termini di competenza e attitudine. La competenza, il talento, l’ingegno, sono assolutamente caratteristiche neutre, mentre l’area della diversità di genere fatta di attitudini e aspirazioni deve essere rispettata in quanto opportunità e non limitazione».

La sua storia è di successo. Ha mai pensato in passato di trasferirsi all’estero per iniziare una carriera più veloce e gratificante?
«Sì, spesso. Ho avuto numerose occasioni, ma ho sempre messo al primo posto la mia vita privata. Ho una splendida famiglia e sono felice di aver scelto l’Italia. Anche perché in un mondo iper-connesso è molto facile mantenere un network internazionale che mi permette di essere costantemente aggiornata sulle novità e le tendenze anche oltre Oceano – non solo Stati Uniti, ma Giappone, Israele e altri. Anzi, proprio Israele potrebbe diventare un modello per noi: sono riusciti a diventare una potenza tecnologica grazie a imponenti investimenti in innovazione e incentivi per il rientro dei cervelli».

Che cosa consiglia a un giovane che vuole invece tentare la carta dell’esperienza all’estero?
«Andate, imparate e poi tornate a condividere con chi è rimasto qui la vostra nuova conoscenza. Imparate più lingue, scegliete sin dall’università percorsi che permettano un’esperienza all’estero, ma considerate il rientro in Italia. Abbiamo sempre più bisogno dei giovani in un Paese che sta invecchiando rapidamente e in Italia c’è spazio per innovazione e talento. Non lesinate nella vostra formazione e siate da traino per chi non si può permettere una formazione di alto livello. La sinergia tra talento, ingegno, strutture imprenditoriali grandi e piccole, ricerca e cultura in un paese piccolo come l’Italia può avvenire con maggiore facilità. L’Italia è di fatto il più grande incubatore di idee del mondo: vivere il nostro Paese nella costante ricerca della creatività e dell’ingegno è l’impulso giusto per una nuova crescita e per una nuova immagine del nostro Paese. I giovani devono essere i protagonisti di questa crescita, ma dobbiamo lavorare tutti nella stessa direzione, almeno in questo, per far tornare l’Italia un paese ammirato in tutto il mondo non solamente per le bellezze storiche e naturalistiche, ma ancor più per la capacità di creare, progettare, sviluppare come in passato».

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