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50 anni dell’uomo sulla Luna: ora basta bufale

Luna

La madre dei complottisti è sempre incinta, anche sulla Luna. Il debunker Paolo Attivissimo qui smonta punto per punto le tesi di chi sostiene che l'allunaggio, il 20 luglio 1969, non sia mai avvenuto

Sono passati 50 anni dal primo uomo sulla Luna: era il 20 luglio del 1969 e Neil Armstrong posava il piede sul suolo lunare, mentre il mondo guardava alla Tv. Ma che cosa abbiamo visto davvero? Il dubbio lo hanno posto per primi gli americani stessi, negli anni ’70, poi non si è più sopito. Ancora oggi, mentre le Tv mandano in onda filmati e documentari celebrativi (e su Apolloinrealtime.org si può seguire tutta la missione dell’Apollo 11, in tempo reale sincronizzato o in differita) si svolgono incontri e proiezioni di contro-documentari complottisti.
Abbiamo quindi chiesto al più noto debunker italiano, Paolo Attivissimo, di spiegarci perché sull’allunaggio c’è ancora questo dibattito: Attivissimo ha infatti scritto un libro, dieci anni fa, che si intitolava Luna? Sì, ci siamo andati!, che ormai è un sito in costante aggiornamento, sfogliato oltre 400 mila volte e gratis grazie alle donazioni dei lettori.

Perché si torna sempre su questo argomento?
«Perché nascono sempre nuove tesi di complotto, nuove ipotesi, nuove presunte anomalie, che vanno quindi spiegate».
Guardando alla storia del complottismo anti-allunaggio, si inizia dal 1976, all’epoca delle missioni Apollo. Che differenza c’è tra i dubbi di allora e quelli di oggi, cinquant’anni dopo?
«All’epoca era giusto essere scettici, perché non era mai stato fatto niente del genere. C’erano persone incredule a buona ragione. Aggiungiamo un po’ di paranoia, perché ricordiamoci che erano i tempi della Guerra Fredda, della competizione anche spaziale tra Usa e Urss, si stagliava all’orizzonte lo scandalo Watergate… Insomma: si sapeva che i governi mentivano, quindi c’era anche negli americani il dubbio che il governo federale si fosse inventato questa messinscena. Era comunque un fenomeno di nicchia, che andava dalle signore al bar che dicevano: “Oggi è coperto, come fanno ad andare sulla luna?”, alle prime forme di complottismo organizzato, che esisteva prima di Internet, che faceva volantinaggio, pampleth, distribuiva le informazione via ciclostile. Oggi, invece, benché resti la diffidenza verso i governi, come è abbastanza normale che sia, ma oggi si è aggiunta l’opportunità di fare soldi: chiunque può mettersi su Internet e fare un video che parla di Terra piatta, di yeti, delle statue dell’Isola di Pasqua per dire che sono state messe lì dagli alieni, e qualcuno andrà a vederlo, lo condividerà con i propri amici. A ogni visualizzazione si guadagnano soldi».

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Ci si guadagna con la pubblicità.
«Certo. Aggiungo però il fenomeno della gratificazione. Chi sostiene queste tesi si trova ad avere un gruppo di seguaci e tifosi che lo sostengono, incoraggiano: “finalmente c’è qualcuno che ha il coraggio di dire quello che gli altri non dicono”».
È il meccanismo che ha fatto la fortuna del blog di Grillo e del Movimento 5 Stelle.
«Esatto. Senza pensare che magari gli altri non le dicono perché sono castronerie, non perché sono segreti di Stato. Questo meccanismo di creazione del consenso è più antico dei 5 Stelle. Proporsi come coloro che vanno contro il sistema, che ti rivelano le cose che i “poteri forti” non ti vogliono far sapere è un classico».
Lei compare anche nel film American Moon di Massimo Mazzucco, uscito un paio d’anni fa e tornato ora in auge. Nella scena che la riguarda, viene sbugiardato perché la si vede a un convegno che cerca di giustificare la perdita dei nastri con i dati di volo del modulo lunare in modo goffo, dicendo che i nastri erano costosi e andavano riutilizzati.
«Sono meccanismi classici del complottismo: si cerca di porre una contrapposizione personale, di spostare le discussioni dai fatti alle persone. In realtà non sono io a dirlo, io come giornalista stavo riferendo in quel frammento quello ha risposto la Nasa a quest’accusa. Ossia: ritenevamo che questi nastri non fossero più utilizzabili, avevamo già fatto la conversione. Come dire: abbiamo fatto la fotocopia dell’originale, l’originale non lo abbiamo più ma abbiamo la fotocopia. È normale che mi attacchino invece di affrontare i fatti, fa parte del gioco, non è un problema. Per me è interessante per smascherare una delle tecniche del complottismo, ossia il “cherry picking”: invece di guardare la complessità dei fatti, si prendono delle singole affermazioni tolte dal contesto e ci si costruisce sopra una teoria. I complottisti non riescono mai a dire: non è andata così, ma è andata così. Non danno mai spiegazioni. E soprattutto non ammettono mai di aver sbagliato, perché perderebbero il pubblico. La ricostruzione giornalistica invece deve partire dai dubbi e approdare a una soluzione possibile, non porre solo dubbi e misteri».
Quindi come andò davvero con i nastri – con i dati biometrici dell’equipaggio e i dati di volo – che sono scomparsi?
«La storia dei nastri è complicata, e questo è uno dei limiti del debunking: per spiegare come sono andate realmente le cose devi fare tutta una spiegazione complessa, mentre il dubbio si instilla facile. Che pasticcioni alla Nasa, hanno perso i nastri! La storia in dettaglio è che il segnale che arrivava dalla Luna era fatto con una telecamera speciale che non era standard. Per convertirla al formato standard fu presa una telecamera normale che filmava davanti al monitor, come quando fanno i film pirata al cinema, riprendendo lo schermo. All’epoca non c’era altro: dobbiamo tornare indietro di cinquant’anni, so che pare incredibile oggi».
Non tanto: mio padre, che nel 1969 aveva 23 anni, mi ha raccontato che per «registrare» l’evento trasmesso in Tv, si era messo con una reflex, montata su un cavalletto, a fotografare le immagini del televisore in bianco e nero. Non esisteva ovviamente la Rete dove recuperare il filmato, né un videoregistratore Vhs.
«Il segnale diretto non standard che arrivava dalla Luna fu registrato su dei nastri, poi fu convertito in un formato standard. Del segnale originale a quel punto alla Nasa si dissero che non ne avrebbero più fatto nulla, li tennero per una decina d’anni, e siccome erano etichettati come dati di telemetria, ossia dati tecnici, finito il progetto se ne liberarono. È stato un errore imbarazzante da parte della Nasa, la tecnologia digitale avrebbe permesso poi di convertire quel segnale in modo migliore, ma era troppo tardi, i nastri originali non c’erano più. C’è un rapporto di oltre cento pagine che spiega che cosa ha fatto la Nasa, che per anni ha cercato negli archivi polverosi i nastri, alla fine si sono dovuti arrendere».
Oltre alla sparizione dei nastri, le bufale più dibattute sulla luna sono due: la questione delle foto dell’allunaggio, che sarebbero state fatte in studio e non sulla Luna, con il coinvolgimento anche di Stanley Kubrick, e quella delle fasce di Van Allen intorno alla Terra, radioattive, che nessun uomo avrebbe mai potuto superare senza riportare gravi danni.
«Sono le principali, in effetti, quelle che sono arrivate al sentire comune. Come la bandiera che sventola o la polvere che si alza (e non dovrebbe, non essendoci aria, né vento, sulla Luna, ndr). Nel video di Mazzucco c’è questa tecnica molto astuta di tagliare la scena, prima che si concluda: lui sostiene che la polvere rimane sospesa, e invece la polvere ricade subito. Ha fatto un fermo immagine. Sono i trucchi del mestiere. Non voglio fare il giudice, non sono nella sua testa, però l’impressione è che o si è di un’ingenuità straordinaria, oppure bisogna manipolare i fatti per arrivare a una conclusione».
Pazzesco: stai sostenendo che delle immagini sono state manipolate dalla Nasa e a tua volta manipoli il video?
«Sì, questo capita molto spesso, è un tema ricorrente di tutto il complottismo. Faccio un esempio: in American Mood vengono intervistati dei fotografi, come Oliviero Toscani, Peter Lindbergh, per avvalorare la tesi che le foto dell’allunaggio siano state scattate in studio. A un certo punto, se si guardano bene le immagini, ai fotografi viene mostrata una foto del modulo lunare che è un noto falso. Ossia un fotomontaggio fatto per scopi artistici perché mancava una foto completa del modulo, c’erano solo due porzioni, che sono state incollate, ed è stato aggiunto il sole con Photoshop. Lo sappiamo. Se porti una foto falsa a dei fotografi e gli chiedi se la foto è falsa, è ovvio che ti dicono che la foto è falsa. Non voglio sostenere che Mazzucco abbia manipolato apposta, però questi sono i fatti, e quella foto è un noto falso. Le versioni mostrate ai fotografi sono quelle ad alto contrasto, non sono quelle originali, perciò ovvio che i fotografi vedono delle anomalie. È come quando oggi si fa una foto al gatto, poi si mettono i filtri di Instagram: è ovvio che i colori sembrano strani, ci sono i filtri».
Veniamo alla questione delle fasce di Van Allen: gli astronauti le hanno attraversate?
«Esistono, non sono radioettive nel senso tradizionale del termine, come l’uranio, però ci sono particelle molto energetiche in questa zona, che sono trattenute dal campo magnetico terrestre. È vero che se ci passi attraverso senza schermatura, ti becchi queste “radiazioni” e ti puoi fare male. La Nasa lo aveva capito e ha adottato una soluzione: ha fatto girare gli astronauti intorno. Invece di andare dritti verso la Luna, hanno compiuto un arco, scavalcando la prima delle fasce, la più pericolosa, e passano in mezzo al bordo più esterno della seconda fascia. Sono a forma di “ciambella” intorno alla Terra, quindi ci puoi girare sotto, o sopra».
E la bandiera americana che sventolava?
«Il complottista sostiene che è stato un errore della produzione del finto video: si sono dimenticati che la bandiera, nel vuoto, non può sventolare. E qui già mi viene da ridere: se ci fosse davvero una congiura per salvare la reputazione degli Stati Uniti, a chi l’hanno affidata, a Stanlio e Ollio? Comunque non si tratta di un errore macroscopico: basta guardare le fotografie e i manuali tecnici del progetto Apollo che dicono “il Congresso degli Stati Uniti ha chiesto di avere la bandiera americana sulla Luna“. Gli ingegneri avevano risposto esattamente che sulla Luna essendoci il vuoto non avrebbe sventolato. Ma qui scatta anche la soluzione, tipica da ingegnere: un’astina orizzontale che tiene su la bandiera. Se si guarda il video non si vede la bandiera che sventola, ma la si vede appesa, stropicciata per il viaggio».
Perché dice: soluzione tipica da ingegnere?
«Il bello del progetto Apollo è mostrare come sono state ingegnose queste persone. A ogni passo, ti chiedi: ma come facevano negli anni ’60 a pensare di  andare sulla Luna?».
Come?
«Con l’ingegno. Faccio un altro esempio: il veicolo lunare deve scendere sulla Luna, ha bisogno degli ammortizzatori. Panico: come facciamo? Gli ammortizzatori hanno bisogno di guarnizioni, di un olio che sopporta il caldo e il freddo nello spazio, e se perde… Un ingegnere alza la mano e dice: scusi, quante volte deve funzionare questo ammortizzatore? Una. Benissimo: niente olio, niente guarnizioni, ci mettiamo un nido d’ape metallico che si accartoccia, problema risolto. Anche nel caso del veicolo lunare, un’altro dubbio dei complottisti è: perché un rivestimento che sembra carta stagnola? Ma è la coperta termica, come quella che diamo ai migranti. Perché i giunti della coperta sono allacciati con lo scotch? Perché è il materiale più intelligente da usare, che si dilata con il calore senza spezzarsi. Sono mezzi “poveri”, non messinscena. Se si guardano i programmi spaziali russi, si ritrova questa semplicità, loro ancor di più degli americani. Per esempio: le capsule americane che devono rientrare sulla Terra devono prendere un assetto molto particolare sennò rimbalzano sull’atmosfera o precipitano e si disintegrano. Quindi c’è da fare una manovra, devi avere i computer di bordo, allinearti con le stelle eccetera. I russi hanno detto: facciamo una capsula più pesante da una parte e sferica, così si orienta automaticamente».
Le rocce lunari portate dalla Luna sulla Terra sono state confermate “materiali non terrestri”. Anche qui però alcuni complottisti insistono.
«Alcuni sostengono che si tratta di meteoriti raccolte sulla Terra. Io sono stato alcuni anni fa nei caveau della Nasa e ho parlato con i geologi che ancora studiano queste rocce, che mi hanno spiegato come, se si analizzano queste rocce con il microscopio, sono crivellate di micro-crateri. Non essendoci l’atmosfera che le protegge, la polvere che arriva dallo Spazio – a sette, otto chilometri al secondo, come se fosse un piccolo proiettile – colpisce la superficie delle rocce e fa un craterino».
Chi sostiene che non ci sono stati trucchi, dice: tra le centinaia di persone implicate nelle missioni Apollo, nessuno ha mai rivelato la truffa.
«Nessun addetto ai lavori si è messo mai dalla parte dei complottisti. Anche gli astronauti italiani di oggi, Alberto Guidoni ad esempio, è stato addestrato da Neil Armstrong: le missioni di oggi si costruiscono sulla base dell’esperienza di quegli astronauti. Se fossero degli impostori, qualcuno se ne sarebbe accorto. Da cinquant’anni quante centinaia di persone starebbero tenendo il segreto? E per tutte le sei missioni Apollo?».
Che cosa mi dice di Stanley Kubrick, regista di 2001 Odissea nello Spazio, che viene sempre tirato in ballo come regista dei video falsi?
«Basta seguire gli spostamenti di Kubrick, che era un tipo molto particolare. A quell’epoca viveva in Inghilterra, aveva la fobia degli aerei e non si spostava. Era preso dall’ideazione del film Napoleone, che poi non fece, e quindi non avrebbe avuto il tempo materiale. Aggiungiamo un dato più tecnico: con gli effetti speciali degli anni ’60, le scene che vediamo nei filmati e nelle foto non si sarebbero potute modificare. Ho intervistato Douglas Trumbull, il supervisore degli effetti speciali di 2001 Odissea nello Spazio, e gli ho chiesto se secondo lui sarebbe stato possibile falsificare le scene del programma Apollo con la tecnologia a disposizione all’epoca. Ha negato categoricamente, e ammesso anzi di non aver potuto modificare il film, che prevede un allunaggio, dove si alza la polvere formando nuvolette che non ci dovevano essere proprio per il vuoto d’aria. Gli astronauti che si muovevano rallentati, in gravità ridotta, non erano “ricreabili” con gli effetti speciali del tempo. Solo che oggi sembra strano pensarlo perché viviamo nell’epoca della massima manipolabilità delle immagini».
La mamma dei complottisti è sempre incinta: quali altri hanno segnato la storia dell’allunaggio?
«Famoso è Bart Sibrel, che va in giro con la Bibbia a far giurare gli astronauti prima di dire che sono andati sulla Luna, una volta si è preso un cazzotto. Poi c’è Bill Kaysing, padre fondatore del complottismo dei ’60-’70. In Italia possiamo citare Roberto Giacobbo: sull’Isola di Pasqua e la fine del mondo dei Maya anni fa andava fortissimo in Rai. Anni fa fece varie puntate sui falsi allunaggi, e sulla tv pubblica. La cosa non fece piacere agli addetti ai lavori: l’Agenzia Spaziale Italiana ha un programma notevolissimo, metà della stazione spaziale è stata fatta in Italia…».

P.s. Tra i vari programmi sull’allunaggio, segnaliamo la storia di Rocco Petrone, l’italiano che partecipò alla missione Apollo 11, di cui poco si sa, raccontata dal documentario Luna Italiana, diretto da Marco Spagnoli e prodotto dall’Istituto Luce-Cinecittà per A+E Networks Italia con il patrocinio di Agenzia Spaziale Italiana e in collaborazione con la Nasa, in onda il 18 luglio alle 22.40 su History, canale 407 di Sky. Ecco una clip:

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