Per l’associazione dei medici dell’Ontario, «riprovevole», la parola che prevedeva il manuale, non era temine sufficiente per definire e condannare il comportamento del dottor Norman Barwin. Quello che ha fatto andava bene oltre il «riprovevole». Il dottore, che per anni ha lavorato in cliniche della fertilità, usava il suo sperma per l’inseminazione delle pazienti.
L’indagine su di lui è partita già nel 2016, ma i casi riguardano nascite già degli anni Settanta in almeno due cliniche dello Stato canadese. Il dottore, ora 80enne, non pratica più e l’albo dei medici non può fare altro che revocare la sua licenza, fare una reprimenda pubblica e dare una multa. Troppo poco per il dottor Steven Bodley: «Ha tradito la fiducia dei suoi pazienti e le sue azioni hanno causato danni irreparabili alle persone e alle loro famiglie, danni di cui risentiranno per generazioni».
Sono 13 i casi documentati (11 confermati) in cui il dottore avrebbe usato il suo sperma o quello di sconosciuti anziché quello dei legittimi padri dei bambini. Secondo l’accusa sono fra 50 e 100 i bambini nati nelle cliniche in cui lavorava il dottor Barwin concepiti con sperma che non era quello corretto.
La famiglia di Rebecca Dixon è una di quelle che hanno fatto causa al dottore. All’età di 25 anni ha scoperto che il medico era il suo padre biologico. «La mia identità è stata messa in discussione e pensare che lui fosse mio padre mi ha fatto sentire contaminata». Una donna che ha ricevuto lo sperma di uno sconosciuto e non quello del marito ha detto di essersi sentita come violentata.
Quello canadese non è il primo caso. Uno dei più recenti è quello di Jan Karbaat, ex direttore di una banca dello sperma in Olanda, morto nel 2017. È risultato il padre biologico di 49 bambini nati con l’inseminazione artificiale. Il test del Dna ha confermato il sospetto che avesse utilizzato il suo seme al posto di quello dei donatori scelti dalle famiglie. Lui aveva confessato in punto di morte di avere una sessantina di figli, ma i dubbi c’erano già: nessuna somiglia dei bambini con i genitori e alcuni invece molto simili a Kaarbat.
I legali della famiglia di Karbaat hanno chiesto di far prevalere il diritto alla privacy dei loro clienti e che non fosse prelevato il Dna dell’uomo. Per i giudici invece si trattava di un diritto fondamentale delle persone. «È una questione di identità e aiuta ciascun individuo a formare la propria personalità». Per questo hanno autorizzato i test di paternità che hanno portato alla scoperta dei figli segreti.