Nemmeno il medico di famiglia l’aveva mai incontrata. Tutte le volte che aveva tentato la madre glielo aveva impedito. Luciana Simoncelli vedeva solo lei e la sorella da più di quarant’anni. Il soprannome terribile, la donna fantasma, racconta di un’esistenza passata lontano dal mondo, chiusa in casa, in isolamento, per la donna trovata morta a Serravalle di Carda, una frazione del comune di Apecchio, nelle Marche.
«Ho ricevuto la chiamata intorno alle sette. Sapevo già che la persona era morta perché così mi è stato detto al telefono», ha raccontato al Resto del Carlino il referente della guardia medica, Lorenzo Di Biasio, «Sono salito in camera e ho visto questa donna magrissima distesa sul letto, già con la rigidità della morte».
La procura di Urbino ha avviato un’indagine conoscitiva. Servono informazioni su una donna, di 59 anni che non lasciava casa dalla fine delle scuole elementari, di cui pochissimi conoscevano l’esistenza. Secondo i familiari una scelta sua: «Avrebbe urlato se avessimo fatto entrare il medico» hanno detto.
Secondo Anna Maria Giannini Professore ordinario di psicologia giuridica e forense all’Università La Sapienza di Roma e consigliere dell’Ordine degli psicologi del Lazio, il termine scelta è il primo da analizzare. «Rinvia a un modo di funzionare della mente che è razionale. Noi facciamo delle scelte che si definiscono adattive: non ci confiniamo dentro casa, ma usciamo, socializziamo e alterniamo questo a momenti di isolamento in un equilibrio che varia a seconda delle personalità dei singoli».
L’omeostasi è la tendenza naturale al raggiungimento di una relativa stabilità, sia delle proprietà chimico-fisiche interne sia comportamentali. Comunemente la si raggiunge alternando socialità e isolamento. «Ci sono poi scelte legate a ideali o ideologie e credenze religiose. Le suore di clausura fanno la scelta di dedicarsi a un’attività isolate dal mondo perché realizzano il loro meccanismo omeostatico attraverso una grandissima convinzione che impone loro di non realizzare quella variazione che di media gli individui realizzano».
Queste scelte estreme sono ancora scelte. Non lo sono più nei casi in cui la persona non ha accesso a tutte le possibili gamme di scelta. «Può essere magari una persona affetta da gravissima fobia, da fobia sociale, da una depressione forte a cui è impedita la gamma variata dei comportamenti. Questa persona crede di scegliere, ma non lo sta facendo. Sta realizzando il massimo delle sue opzioni in un’area rispetta dalla patologia, una sofferenza che non lascia altre vie perché per la mente la socializzazione è fondamentale».
In questo caso, pur senza conoscerne i dettagli, si parla di decine di anni in cui questa persona non era uscita di casa e non aveva socializzato se non con un numero rispetto di familiari. «Il fatto che le persone della famiglia non abbiano agito per portarla fuori da questo isolamento è indicatore di quanto si creino sistemi paradossali di adattamento: “Se lo vuole lei va bene”. La situazione viene però rinforzata dal fatto che gli altri non intervengano aiutando: la persona diventa sempre più sola».
Certi meccanismi paradossali diventano normali per le persone che li adottano. Non è più sorprendente se la persona non esce dopo un certo numero di anni e la situazione diventa sempre meno modificabile. «È come se la patologia si allargasse a tutta la famiglia», aggiunge la professoressa. «L’isolamento è un meccanismo che si autorinforza», spiega ancora, «dopo che la persona è riuscita a isolarsi e gli altri glielo hanno fatto fare, questa persona si rinforza nel meccanismo e lo prosegue».
Le forme adolescenziali, come il fenomeno hikikomori, sono diverse. «Sono adolescenti che nella crescita, nei passaggi, nello sviluppo decidono l’isolamento, rispetto alla ristretta gamma di opzioni che si vedono davanti». Proprio l’adolescenza è uno dei passaggi fondamentali della vita in cui il rischio di isolamento è maggiore come l’inizio del processo di invecchiamento. «L’altra variabile, ancora più importante sono gli eventi di vita. Le persone che si isolano o cominciano precocemente, come sembra essere il caso di cronaca, oppure decidono il ritiro sociale dopo eventi critici: lutti, delusioni, separazioni. Come se la persona non ce la facesse più a rimettersi in circolo con le energie necessario per rapportarsi agli altri e non vuole più investire in questo mettendosi in un guscio protettivo».