Paola Pellinghelli ha una voce squillante e gli occhi che ridono, al punto da essere lei a togliermi da quell’imbarazzo che oggi forse solo i grandi dolori umani riescono ancora a scatenare. La disturbo in un tipico pomeriggio pigro emiliano, di ritorno dal lavoro, e quando dice: «Scusa, se ogni tanto mi distraggo, è perché sto controllando la mia gatta che non sta bene», capisco che il suo segreto per non affondare forse sia stato proprio quello di continuare a dedicarsi agli altri, primo fra tutti il figlio Sebastiano, invece di scegliere la solitudine.
Un epilogo per il quale nessuno l’avrebbe condannata visto che tredici anni fa dovette assistere a una delle scene peggiori che si possano immaginare: il rapimento dell’altro figlio, poco più che neonato. Era la sera del 2 marzo 2006, infatti, quando due persone entrarono in soggiorno e portarono via il piccolo Tommaso Onofri (per tutti Tommy) sotto gli occhi di mamma Paola, papà Paolo e il fratellino maggiore.
Un’azione compiuta per estorcere loro denaro da parte di un muratore che aveva lavorato in quell’abitazione, Mario Alessi, e che al momento della confessione svelò i nomi dei complici: l’amico Salvatore Raimondi e la compagna Antonella Conserva. Dopo circa un mese di appelli e ricerche estenuanti il corpicino del piccolo fu trovato senza vita sull’argine di un torrente poco distante da casa e da allora tutta la comunità si strinse intorno alla famiglia, dando vita anche a diverse manifestazioni. Una delle più importante è la Corsa di Tommy, organizzata dal gruppo sportivo F70 Freesport in collaborazione con l’associazione onlus Tommy nel cuore, che domenica 19 maggio tornerà nei luoghi della se pur breve infanzia di Tommaso, con diverse tipologie di percorsi.
Sarà come sempre una grande festa?
«L’intento è proprio quello, vivere una giornata all’insegna del ricordo allegro, non triste, perché solo trasformando il dolore in qualcosa di positivo è possibile andare avanti, Siamo arrivati all’ottava edizione e il fermento e l’emozione della vigilia sono ogni anno più alti. Merito dei ragazzi che ringrazio per il loro lavoro incessante e dell’affetto di tutti».
Il calore della gente è lo stesso dei primi periodo, quando tutta la città e non solo si strinse intorno a voi, o è andato un po’ scemando negli anni?
«Affatto, anzi, non mi stancherò mai di dire che se possibile sia addirittura aumentato, tanto da accompagnarmi in ogni momento della quotidianità. In questo periodo viene sempre organizzata la pulizia del Traglione, il luogo del ritrovamento dove adesso sorge un ceppo commemorativo, quest’anno non ho partecipato per questioni lavorative ma sono stata costantemente informata dai tantissimi volontari che si sono impegnati. Quando sono passata sul posto qualche ora dopo mi sono commossa».
Ci va spesso?
«L’ho sempre fatto tanto ma quest’anno per diversi motivi sono passata meno. Quando sono lì però riaffiora in me l’idea che si tratti di un luogo magico e sarà sempre così anche se mi rendo conto che gli altri lo associno a un evento bruttissimo. È tutto pulito però, l’erba è tagliata, l’edera cresce altissima e ci sono un sacco di alberi di ciliegi e fichi quindi non mi ricorda una tragedia ma un giardino».
È sempre stato così o questo pensiero è frutto di un cammino psicologico?
«Ovviamente ho seguito un percorso perché non si metabolizzano certe tragedie senza aiuto, ma quel luogo non mi ha mai fatto paura. Quando è avvenuto il ritrovamento di Tommy si presentava come una discarica e poco distante stazionavano prostitute ad ogni ora del giorno e della notte ma a me ha sempre trasmesso un senso di pace, anche se sono cosciente sia un paradosso. Quando sono nervosa, tesa e un po’ in crisi mi basta andare lì per riacquistare subito un po’ di serenità».
Nel 2007 è nata l’associazione Tommy nel cuore, un modo anche questo per far nascere qualcosa di buono da tanta sofferenza?
«Sì, anche se inizialmente devo dire che siano stati più i problemi dei benefici».
In che senso?
«Quando parte un progetto che per motivi più o meno felici è accompagnato da una grande visibilità attira ogni tipo di persona e nei primi periodi erano più quelle negative che positive. Adesso però sono accerchiata da ragazzi fantastici, che mi vogliono bene e lavorano senza sosta ai progetti».
Uno dei più importanti è appunto la Run for Tommy il cui ricavato andrà a diverse importanti realtà.
«Esatto, anni fa grazie a una partita della Nazionale italiana Cantanti abbiamo acquistato un’ambulanza per la Croce Rossa di Parma che però adesso è in servizio in Sierra Leone perché le norme in vigore in Italia non le consentono più di circolare. Era l’ambulanza di Tommy e non vederla più girare per le strade della mia città mi dispiace così abbiamo pensato di contribuire a finanziare l’acquisto di un mezzo di soccorso per l’Assistenza Pubblica che porterà il nome del mio piccolo. Daremo inoltre un contributo per il mantenimento della scuola Tommy in Bangladesh gestita dall’associazione Il Filodijuta e uno alla scuola asilo Coulliaux di Parma».
Pensa ancora spesso a quella sera del 2 marzo?
«Solo se mi ci fanno pensare, altrimenti i miei pensieri sono altri e più belli».
Come il volto di Tommy.
«Lui non mi abbandona mai, mi accompagna 24 ore su 24 da 13 anni, lo chiamo “la mia dolce malinconia”, la mia compagna di vita. Il ricordo di quella notte e degli assassini però è lontano da me, lo è sempre stato e a maggior ragione oggi che sono passati tanti anni. Non ho mai capito se sia una forma di autotutela oppure no ma sinceramente di loro a me non importa nulla».