«Un uomo sui quaranta, in auto, ha rallentato e ha accostato accanto a me, che stavo percorrendo a piedi corso Marconi. Mi ha chiesto se potesse accompagnarmi lui nel posto dove mi stavo dirigendo. Gli ho detto di no, ma lui ha continuato a fiancheggiarmi. Non gli ho dato la risposta che avrebbe meritato perché ero spaventata: non sapevo fin dove avrebbe potuto spingersi. E ho cercato una via di fuga, un angolo dove rifugiarmi». Un episodio di catcalling, molestie di strada che consistono in commenti indesiderati, gesti, fischi, avance sessuali e pedinamento. Uno dei molti, moltissimi.
Tanto che due studentesse di Lingue dell’Università di Torino, Malvina Ghidetti, 21 anni, originaria del Savonese, e Giulia Grasso, 22, di Catania, hanno deciso di raccogliere le esperienze vissute da altre ragazze (e ragazzi) e di condividerle su un account Instagram, @catcallsofturin. Poi, con i gessetti, riportano quelle frasi inopportune sull’asfalto, per renderle ben visibili. Un’edizione italiana e torinese dell’iniziativa nata a New York, di cui ne condivide gli obiettivi.
Perché avete deciso di aprire questo account?
«Il catcalling è una forma di molestia che tutti abbiamo provato, ma è sempre stato sottovalutato e a volte nemmeno reputato un problema. Abbiamo deciso di denunciarlo in modo pacifico, per creare consapevolezza».
L’avete vissuto?
«Sì, come ogni ragazza e come diversi ragazzi. Abbiamo cominciato raccontando le nostre esperienze, e tanti altri hanno raccolto la proposta, condividendo le loro. Il catcalling ferisce: so di ragazze che non sono più riuscite ad indossare gli abiti che portavano quando l’hanno subito. Questo account vuole focalizzare l’attenzione su un concetto basilare: in questi casi, il problema non è mai della vittima, ma di chi non sa portare rispetto e fa violenza attraverso le frasi».
Capita solo alle ragazze più carine?
«Assolutamente no: chi è abituato a usare queste modalità, non fa di certo distinzioni».
Che cosa vi dice la gente, quando vi vede scrivere aull’asfalto?
«C’è chi passa e non commenta, chi sbuffa, chi aspetta di essere lontano per insultarci su Instagram. Ma noi non ci facciamo troppo caso, perché invece la maggior parte della gente guarda e ci interroga, si interessa, capisce. Molte persone si sentono comprese, e hanno voglia di raccontarci la loro esperienza».
Le frasi più pesanti?
«Quelle a sfondo sessuale: è sempre violenza, in quel caso non si può davvero pensarla diversamente. Spesso i peggiori sono i più grandi, gli uomini dai quarant’anni, quelli da cui ci si aspetterebbe un comportamento più maturo».
Qualcuno, in rete, replica dicendo che si tratta di complimenti e non di molestie.
«Sappiamo bene distinguerli. Una persona che vuole avvicinarsi con garbo dovrebbe quantomeno iniziare il dialogo con un “ciao”, e non urlando o usando espressioni pesanti. Poi, naturalmente, deve essere pronta ad accettare, eventualmente, anche un “no”».