Il suo nome probabilmente non lo ricorda nessuno, ma il suo torso nudo e pieno d’olio è indimenticabile. Lo hanno visto milioni di persone alle cerimonie inaugurali di Rio 2016 e Peyongchang 2018. Pita Taufatofua è l’atleta tongano che ha fatto già un’olimpiade estiva e una invernale. Adesso punta a Tokyo 2020 in una nuova specialità: la canoa.
Non che abbia mai avuto fortuna dal punto di vista sportivo. Le sue qualificazioni sono sempre con il tempo minimo e grazie ai posti riservati agli stati con meno tradizione sportiva.
In Brasile ci ha provato con il taekwondo, il suo primo sport (ha perso 16 a 1 nel primo incontro), e in Corea ha puntato con lo sci di fondo. «Il mio primo obiettivo era concludere la gara prima che spegnessero le luci. La seconda era evitare di scontrarmi contro un albero». Ci è riuscito arrivando 114esimo su 119 partecipanti.
Dal punto di vista mediatico invece è diventato una star (su Instagram ha 143mila follower e non è proprio cosa comune fra i paradisi del Pacifico) portando, nel tradizionale costume con il gonnellino, la bandiera di Tonga.
Vuole portarla un’altra volta e lo vuole fare cambiando sport. Già da un’isola del Pacifico era arrivato a sciare passando attraverso roller blade e skiroll, in più si presentava come re dell’impossibile qualificandosi per due giochi. Sarebbe ora il primo in questo secolo a farlo in tre sport differenti.
La nuova sfida è la canoa kayak sprint. La scelta della disciplina viene dalla tradizione secondo la spiegazione di Pita. «È uno sport che sento vicino al mio cuore perché i miei antenati lo hanno fatto per migliaia di anni fra le isole polinesiane». È anche la più difficile delle qualificazioni tentate finora. Ci sono solo 12 posti nel K1 200, la gara a cui punta.
Per Tonga ora cerca la prima medaglia d’oro olimpica e si divide fra Brisbane, in Australia, ed eventi internazionali (ha incontrato anche i duchi di Sussex). Non dimentica però da dove viene: una casa con una sola camera da letto da dividere con sei fratelli distrutta poi da una tempesta tropicale. Raccoglie fondi per la ricerca contro il riscaldamento globale, visto che Tonga è la seconda nazione più a rischio di disastro naturale dopo la vicina isola di Vanuatu, e lavora per i senzatetto.
Anche questa volta ha avviato una campagna di raccolta fondi per coprire le spese olimpiche: circa 138 mila euro nei prossimi 15 mesi. Solo un kayak professionale costerebbe quasi 9mila euro, per ora si allena con uno di quelli da amatori. «A Tonga lavoriamo con quello che abbiamo e penso di poter raggiungere l’obiettivo». La sua prima chance di qualificazione è in Ungheria ad agosto, altrimenti ci proverà con le qualificazioni in Oceania nel febbraio, magari provando anche con il vecchio taekwondo. «Sarebbe un colpaccio fare due sport diversi nella stessa olimpiade, no?».