C’è stata un’epoca in cui era impossibile sognare in grande. Si può sintetizzare in questo modo un collage di dichiarazioni sulla pagina Instagram dell’UTS (Ultimate Tennis Showdown) di Nick Kyrgios, tennista da pochissimo riconsegnato al tennis giocato e personaggio che non abbisogna più di alcuna presentazione. Il ragazzo di Canberra è ormai prossimo alle trenta primavere e, attavolato insieme a Patrick Moratoglou e ad Alexander Bublik, snocciola ricordi di tornei major inespugnabili in quanto piantonati dai four guys, come li chiama lui, e da altri giocatori meno attrezzati ma comunque spaventevoli.
“Ricordo” – dice Kyrgios – “una volta a Melbourne il quadro degli ottavi di finale: io ero nettamente il peggiore del gruppo. C’erano i Big Four al loro meglio, ma anche Wawrinka, Cilic, Nishikori, Berdych, Monfils, Gasquet, Del Potro e Tsonga. Ho visto e mi sono detto: Nick, sei fottuto”. Gli amici ridono e Moratoglou prova a rincuorare l’australiano: “ma tu pensavi in ogni caso di poterli battere, vero?”. “Sì” – risponde Kyrgios – “ma non ho mai creduto di poter vincere uno Slam”.
“Per vincere” – continua Nick – “dovevi battere i quattro nel loro periodo migliore. Era impossibile farlo al meglio dei cinque set; Nalbandian c’è riuscito (a Madrid nel 2007 quando infilò Nadal, Djokovic e Federer in finale perdendo un solo set, nell’ultimo match) ma sulla lunga distanza non c’erano speranze”. “Nessuno è mai riuscito in uno Slam?” – dice Bublik sorpreso. “Quando arrivavo negli ottavi” – ribatte Nick disegnando cerchi invisibili sulla tavola con il piede di un calice di vino – “era una grande settimana. Potevo ritenermi soddisfatto”.
