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Rafa Nadal: il profumo di chi va via

Non ha più ciocche da avvitarsi dietro le orecchie. I glutei che lo trasformarono nel più timido sex-symbol dello sport moderno sono meno pieni e gli slip iniziano a calzargli a pennello. Pensate a quanto avrebbe vinto Federer se Nadal non fosse mai esistito. Pensate a quanto avrebbe vinto Nadal se avesse trovato mutande della sua taglia.

Non si può parlare di Nadal senza parlare di Federer. E’ così, per favore, non sparate sul pianista perché suona l’inno svizzero. Nadal ha nel suo DNA tanto Federer pur senza somigliargli. Un vino prende il sapore del terroir in cui la vigna è cresciuta. Il fungo sa dell’ombra che gli concede l’albero. Nadal ha il profumo di chi va via.

Quando Eraclito di Efeso espose la sua teoria degli opposti, non poteva di certo prevederne le corrispondenze a distanza di 2500 anni. Il filosofo del nostro liceo, quello che ti illudeva che la filosofia fosse facile da studiare, argomentava ritenendo che venisse prima “polemos” e in fondo “logos”. Ragioniamoci su, diceva il saggio, dopo aver compreso che ogni guerra è inutile.
La guerra tra fan di Federer e Nadal, che ha coinvolto una generazione di appassionati tennisti, si è sublimata in una pace, in una sorta di santa alleanza contro il futuro e contro qualsiasi possibile disturbo verso l’altare dei nostri ricordi.

Così è nata, negli ultimi anni, l’espressione “fedalesimo”, sentimento attribuito alle vedovelle di Roger ed alle spose a termine di Nadal: esso si declina nell’amore verso entrambi, più spesso verso soltanto uno dei due, che però diventa nostalgia di quel conflitto così perfetto, attacco e difesa, Apollo e Dioniso, un campo metà terra e metà prato, che doveva per forza virare verso la pace. 
Il fedalesimo è stato un tutto, la lotta di classe che si sposta al bar, il gemellaggio tra tifoserie. Il fedalesimo è esistito ed è stato un cerchio chiuso e tracciato da Giotto. Nato dalla sintesi degli opposti e chissà cosa ne pensa Djokovic, che uomo di pace non è.

Rafa non si è mai tolto di dosso l’umidità delle lacrime della Laver Cup di Londra, ed a 38 anni è meglio stare asciutti. C’erano due addii in quella stretta di mano bagnata. Ingenui, ne abbiamo celebrato uno solo. Da allora, tra infortuni, interventi chirurgici e promesse disattese, Nadal non c’è stato più. Da quel cerchio, da quell’ecosistema della più bella rivalità tennistica di sempre, si era liberato Federer e quel gesto, quell’addio, aveva finito per liberare Nadal. Nella teoria dei contrari, Rafa da solo non poteva più esistere.
Mai avevamo visto Rafa piangere. Roger sì, hai voglia… Roger è stato una fontana nella sua carriera. Del resto, Roger era l’acqua e come disse Rod Laver, era armato di un dritto che era una “frusta liquida”. Nadal, invece, era la terra, e non c’è davvero bisogno di scomodarsi nei perché. 

Eppure, in qualche modo, Nadal è stato la marea. Nadal è stato, tennisticamente parlando, il colpo più devastante e irresistibile contro cui potevi imbatterti nel nostro gioco. Quel dritto, e il suo connubio con la terra rossa, si specchiavano nell’impossibilità di giocarvi contro. Quel colpo, che nelle scuole tennis degli anni ’80 avrebbero irriso e che invece l’evoluzione del gioco ha installato nel suo braccio, lo attendevi come si attende l’esito dell’esame. Sarebbe arrivato e da lì, dalla prima chance sul lato sinistro del già sinistro Nadal, lo scambio sarebbe cambiato. A Parigi spiccava il volo da Billancourt e sarebbe rimbalzato fino a Saint Denis se, qualcuno, non faceva qualcosa. A quel colpo, a quel missile balistico, opporvi una racchetta con ricambiata energia ostile sarebbe stato l’ideale. Sono però certo che chi stava dall’altra parte non vedeva scavalcare la rete soltanto una pallina. Arrivava la marea, di sabbia e terra, si muovevano le Dune di Arrakis, il polverone della cavalleria di Rohan nei romanzi di Tolkien, e capisco bene chi ha tentato tante volte di opporvi solo un sogno ad occhi aperti.

La palla che Nadal spediva col dritto nel campo avversario atterrava sulla terra che pareva caduta da Marte, rosso su rosso. Quel proiettile impattava al suolo, tritando il campo. Si aggrappava alla terra battuta, e non solo; si aggrappava al fondo di massetto, e non solo. Si aggrappava alle certezze di molti, destabilizzandole, indi rimbalzava riascendendo al cielo. Era quasi parso, in un’epoca oramai preistorica, che il destino fosse uno, che la terra stesse scorrendo nella ordinata direzione, prossima uscita Basilea, e invece Rafa, in piedi sui suoi piedi martoriati, con la sua asimmetrica chela, si opponeva alla rotazione e propugnava la rivoluzione. 

Il moto terrestre, quando un giovane Rafa uscì dai libri di Kipling per giocare a tennis, diceva Federer. Rafa Nadal, a quell’algida aristocrazia, si oppose, trascinando con sé un volgo tennistico che cercava pane e non brioches.
Quante saranno state quelle palline impresse di un moto rotatorio che andavano contro ad un destino già scritto? Saranno state milioni, forse miliardi e ognuna di esse era carica di quell’energia strabordante, che era nel corpo di Rafalito, che sin dai palleggi di riscaldamento cercava sfogo. Ognuna di quelle palline che girava in senso opposto all’ordine delle cose, era armata da artigli di feltro che impattavano con il pianeta, che in esso si conficcavano per un istante, animate da una volontà superba, indomita. Una volontà talmente esuberante che si agitava ancora mentre Van de Zandschulp, uno con più consonanti che vittorie, lo congedava dal campo giocato.
E credetemi, anche se non ne ho prova, e nemmeno un indizio, miliardi di maree, in senso contrario e deciso, avranno pur inciso, infinitesimamente, sulla rotazione terrestre.

Sogniamo così, sogniamo che quel perenne attrito che voleva scomporre l’alternanza di giorno e notte, in minima parte, ci sia riuscito. Sogniamo che ogni dritto di Nadal, che è andato contro il pianificato fluire delle cose, abbia trattenuto il tempo. Ogni parabola che dall’altro lato del campo vedevi arrivare come proiettile di catapulta, e sconquassava le certezze di dominio svizzero, scolpiva il suolo, rallentandolo. Plasmava il tempo, arrestandolo, e i nostri anni con lui.
Ora che Rafa non colpirà più quel dritto, che la pallina da lui colpita non cercherà di fermarlo, chiunque ami Rafa vedrà il tempo come inizierà a volare.

Djokovic, adesso, sembra fuori posto. Nole sembra il ragazzo che va alla festa di 18 anni, ancora indossando i jeans stracciati dell’adolescenza e si ritrova in mezzo a coetanei che iniziano a indossare giacca e camicia fatta su misura. Può scegliere anche Murray come nuovo sarto, ma  continuare appare superfluo. Rafa e Roger hanno trovato la pace. Djokovic, che ha mosso guerra alla guerra di Rafa e Roger, ha raso al suolo i record e le città. La guerra al quadrato di Nole si è compiuta anch’essa a Parigi quest’estate: lì sarebbe stato opportuno siglare l’armistizio e invece assistiamo anche al suo di stillicidio.

Rafael Nadal Parera, dunque, lascia il tennis. Per 22 anni ha giocato dinanzi a noi ed è stato il pallino bianco o il pallino nero dello Yin e dello Yang. Quello giovane dei due; quello ribelle dei due. E’ difficile cancellare il ricordo dei primi match. Nadal-Edipo uccise Federer-Laio: difficilmente chi ha visto tutti questi anni, riuscirà ad immaginare altro. E se i ribelli muoiono sempre giovani, se quindi Rafa è giovane, eppure vecchio, Rafa si è emancipato dal gioco dei contrari, ed è diventato anch’egli, in sé stesso, un insieme di bianco e di nero. Si ritira desiderando ancora di giocare: il corpo non tiene il passo con la volontà più ferrea ed invincibile mai entrata in un’arena tennistica. C’è da impazzire.
Il più grande mistero su Rafa resterà, in eterno e mai svelato, da dove provenisse cotanta volontà. Nel gioco dei simili, e non dei contrari, la affine volontà di Novak Djokovic la possiamo romanticamente cercare nella infanzia passata in una Serbia nemica del mondo. Ma in Rafa, figlio di famiglia benestante, cresciuto in un paradiso terrestre, tra zii calciatori del Barcellona e genitori privi di prosopopea, come abbia fatto a germogliare quella voglia, in quel ragazzo che resterà semplice per tutti gli anni di agonismo, resterà un mistero.

La volontà superiore di cui, forse, è stato dotato in natura, allevata da uno zio sciamano e alimentata dal desiderio della rivoluzione, lo aiuterà a risolvere l’enigma in cui lo abbiamo cacciato. Giovane e vecchio in un corpo solo e in una mente sola. Nadal dovrà risolvere in sé il perché la vita è crudele, il perché, noi tutti che lo amiamo, gli imponiamo questa crudeltà. Confessiamolo: siamo crudeli Rafa, ti abbiamo spinto avanti sorretti anche da inconscia crudeltà. E’ la vita che lo impone perché è più crudele di noi. Ma siamo anche vivi Rafa. Siamo ogni giorno, nelle nostre piccole cose, quel pugno agitato dopo un punto, quel braccio che mulina nello smanicato dei tuoi vent’anni, siamo la terra che si lorda di sangue per ogni lotta che valga la pena di esser lottata. Grazie della rivoluzione Rafalito. Col tuo permesso noi continuiamo: perché siamo vivi, lo siamo stati e lo saremo, anche grazie a te. 

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