Quarant’anni non bastano a cancellare i ricordi personali che si fondono alla memoria collettiva. Ogni maseradese che c’era quel 1° ottobre 1984, che fosse all’epoca solo un bambino o già un adulto, conserva almeno un flash di quel giorno: un’immagine, una parola, una lacrima di un familiare, una notizia sul giornale o al tg della sera.
Quarant’anni fa era un lunedì.
Michele Tonon aveva 13 anni ed è stata la più giovane vittima. Fabio Denis di anni ne aveva 14, Mauro Milanese ne avrebbe compiuti 22 dopo qualche giorno. Padre di una bimba di pochi mesi, era l’unica vittima che non viveva a Maserada ma a pochi chilometri al di là del Piave, a Cimadolmo. E poi i ragazzi della classe 1969, falcidiata dalla strage: Barbara Vertieri, Fiorenzo Vendrame, Cinzia Ungaro e Luisa Paola Trevisi, che proprio quel 1 ottobre compiva 15 anni.
Da allora sono diventati i “Ragazzi del Primo Ottobre”.
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Stavano tornando a casa in corriera: gli studenti dopo la scuola a Treviso o a Lancenigo di Villorba, mentre Milanese aveva concluso il turno come impiegato dai vigili del fuoco. In via Trevisana, poco fuori l’abitato della frazione di Varago di Maserada, succede l’irreparabile.
All’altezza di una curva molto stretta, che oggi non esiste più, la corriera finisce contro un camion rimorchio. La motrice riesce a passare, mentre il rimorchio urta la fiancata del bus, infilandosi nella lamiera del mezzo e squarciandola.
Sette morti, tre ragazzi gravemente feriti, diversi altri più lievi. E poi chi per un soffio ce l’aveva fatta. “I miracolati di Varago”, come li chiamavano, i quindici che erano scesi alla fermata precedente.
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Le cronache dell’epoca raccontano della scena infernale davanti agli occhi dei primi soccorritori.
«Un’esperienza traumatica, capace di sconvolgere. È stato come essere catapultato di colpo in uno scenario dopo un bombardamento», aveva raccontato il dottor Bruno Di Daniel alla tribuna in occasione del trentennale della strage. Allora era un giovane studente di Medicina, figlio d’arte visto che il padre Giacomo era medico condotto in paese. Il pullman si schiantò vicino alla loro casa e i Di Daniel furono tra i primissimi soccorritori.
«Ricordo tutto perfettamente: la corriera squarciata, il camion finito nel fosso, i corpi sulla strada, i sedili divelti», aveva aggiunto, «Di colpo sono stato catapultato nel cuore della tragedia, sono rimasto impressionato e segnato dalla situazione totalmente imprevista».
Un dolore talmente forte, immagini così shoccanti che don Enrico Vidotto, allora parroco, svenne al Pronto soccorso del Ca’ Foncello dinnanzi alla disperazione dei familiari. Al funerale, anticipato da tre giorni di lutto cittadino, parteciparono tremila persone.
Erano i giorni della sagra paesana di San Francesco a Maserada e quell’anno tutti i manifesti erano stati disegnati a mano dai bambini del paese. L’evento venne chiaramente annullato e alcuni di quei disegni finirono tra i tantissimi mazzi di fiori che ricoprivano le bare dei sette “Ragazzi del Primo Ottobre”.
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«Prima una forte esplosione, poi la pioggia di vetri. Mi sono coperto istintivamente, poi per lo choc penso di aver perso la cognizione di cosa stesse succedendo per qualche minuto, forse anche meno. E poi il via vai di gente, le urla, il sangue, il caos», aveva raccontato sempre al nostro giornale per il trentennale Andrea Mattiuzzo, allora sedicenne, uno dei superstiti, «Io ero rimasto da solo seduto a bordo della corriera, senza reagire. Ero dalla parte buona, così mi sono salvato».
Andrea riportò solo un piccolo taglio dietro all’orecchio. La madre, che non era stata sul luogo dell’incidente, capì esattamente cosa fosse successo quando ebbe il coraggio di guardare cosa avesse il figlio appiccicato al giubbotto e intricato nei capelli.
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«Un macello», ripeteva singhiozzando l’autista della corriera che finì sotto inchiesta per omicidio colposo e strage colposa insieme al conducente del camion. Entrambi gli autisti furono condannati in Cassazione. E la causa civile intentata dalle famiglie durò 19 anni.
Con uno strascico appellandosi alla legge Pinto sulla ragionevole durata dei processi: Stato condannato nel 2011 a risarcire i parenti delle vittime, ma fondi temporaneamente indisponibili. E così ci sono voluti quasi trent’anni perché la partita dei risarcimenti si chiudesse.
Quarant’anni dopo, la ferita a Maserada è ancora aperta. E ogni 1° ottobre è il giorno di Michele, Fabio, Luisa Paola, Barbara, Fiorenzo, Cinzia, Mauro. L’amministrazione comunale ha omaggiato le vittime con una composizione floreale là dove la corriera venne sventrata, le tombe dei ragazzi sono più colorate del solito.
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Dieci anni fa era stata organizzata una serata di ricordo a Maserada. La mamma di una delle vittime, rimasta anonimia, aveva scritto una lettera che era stata letta alla platea: «Se tutte le mamme che hanno perso un figlio urlassero a gran voce il loro dolore, il mondo crollerebbe. Ma la vita è più forte della morte, ci costringe ad andare avanti. Noi mamme siamo come condannate a continuare la nostra vita che certo rimane, ma il cuore è morto. Ci consola solo il vostro spirito dolcissimo che ancora ci rimane accanto, immutato fin da quell'istante».