L’incontro con l’assassino - una persona che conosceva - al casolare abbandonato di via Maleviste e la traccia dell’appuntamento lasciata nel cellulare, trovato dai carabinieri sul luogo della tragedia. Il caso della morte di Vincenza Saracino, 50 anni, la donna uccisa il 2 luglio scorso e trovata soltanto un giorno dopo la sua scomparsa da casa, è vicino alla soluzione. Il cerchio si è stretto attorno alla persona che, tra le 18.15 e le 19 di quel giorno l’ha uccisa vibrando cinque fendenti tra la mandibola e il collo. Fatale è stato uno dei colpi che le ha reciso la carotide, provocando una consistente emorragia interna.
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Chi ha ucciso la cinquantenne originaria di Molfetta, che con il marito gestiva il sexy-shop di Preganziol, conosceva Vincenza e l’aspettava al casolare di via Maleviste. Non era un famigliare (le indagini hanno infatti accertato che i rapporti con il marito e la figlia erano assolutamente sereni) ma nemmeno uno sconosciuto. L’assassino faceva parte della cerchia dei conoscenti di Vincenza Saracino. Ma il movente non è passionale. Questioni di lavoro legate a un cliente del sexy shop o personali? Le indagini lo chiariranno.
Di certo l’assassino ha fatto una serie di errori che hanno permesso agli investigatori di imboccare presto la pista giusta, ricucendo così lo svantaggio di 24 ore (il lasso di tempo trascorso tra la scomparsa della dona e il ritrovamento del suo cadavere) che avevano rispetto al killer.
Innanzitutto, il telefonino lasciato nella borsetta della donna, trovata a pochi metri di distanza dal corpo senza vita di Vincenza. A scoprire dov’era sono stati i carabinieri del Ros, grazie ad una loro particolare strumentazione, intervenuti sul posto la sera del ritrovamento del cadavere. Inoltre, dopo il delitto, l’assassino pare abbia spostato il cadavere di qualche metro, probabilmente per nasconderlo alla vista di auto o mezzi di passaggio. Lo sia evince dalla maglietta della vittima trovata leggermente sollevata.
Sugli indumenti di Vincenza Saracino potrebbe avere lasciato qualche traccia biologica di sé stesso. Come anche delle impronte digitali sulla bicicletta elettrica della cinquantenne trevigiana che l’assassino ha scaraventato all’interno di un cespuglio da cui spuntava soltanto il cavalletto. Poi quell’unghia spezzata di Vincenza, probabile segno di un tentativo disperato di difendersi. Sotto quell’unghia, potrebbe esserci il Dna dell’assassino.
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L’unica cosa che al killer è riuscita bene è stata quella di aver fatto sparire l’arma del delitto, il coltello con cui ha infierito sulla donna. La boscaglia attorno al casolare di via Maleviste è stata battuta palmo a palmo dai militari dell’Arma senza però trovarla. Difficile capire se se ne sia sbarazzato lanciandola da qualche parte o se la sia portata con sè.
Di certo, chi l’ha uccisa non è un professionista ma sicuramente qualcuno che con Vincenza Saracino aveva un conto in sospeso da saldare. Con ogni probabilità, quello del casolare di via Maleviste è un delitto premeditato. L’assassino all’appuntamento con la vittima s’è presentato armato. Voleva farle soltanto del male? La situazione è degenerata durante una discussione? Sono dettagli che verranno chiariti a definitiva soluzione del caso.