Giovanni Orsina, uno dei politologi italiani più apprezzati, lancia dalle colonne de La Stampa una lunga accusa ai protagonisti del nuovo antifascismo di maniera, critica fortemente le parole usate ieri a Bologna, nel corso della commemorazione per l’anniversario della strage, e invita la sinistra a non proseguire sulla strada di un radicalismo pericoloso.
Un editoriale dettagliato nel quale Orsina affronta anche il delicato tema delle numerose sentenze sulla strage compiuta 44 anni fa, ribadendo che non sono espressione di infallibilità.
Orsina esordisce dicendo che, “Fin quando la storia d’Italia sarà interpretata e strumentalizzata politicamente come ha fatto ieri Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle vittime di Bologna, non potremo mai sperare di riuscire a metabolizzare il nostro passato. E fino a quel momento ci sarà pure impossibile chiedere con un minimo di credibilità a Giorgia Meloni e al suo partito di recidere i residui fili emotivi che ancora li legano alle vicende del neofascismo, perché sarà loro fin troppo facile sottrarsi accusando i propri accusatori di disonestà intellettuale e faziosità”.
Il politologo, dalle colonne del quotidiano torinese, sottolinea come, “L’interpretazione storica che ha proposto ieri Bolognesi rimanda a numerose sentenze giudiziarie. Ne ricava senz’altro forza, ma non ne viene affatto resa incontrovertibile in ogni sua parte. Le sentenze non sono verità divina, in una democrazia si ha il pieno diritto di diffidarne e criticarle”.
“Tanto più – scrive Orsini su La Stampa-quando arrivano al termine di iter lunghissimi, nel corso dei quali sono state montate, smontate e rimontate più volte fra il primo e il terzo grado di giudizio.
Nel caso specifico della strage di Bologna, per altro, non mancano studiosi autorevoli e disinteressati che hanno espresso dubbi fondati sulle ricostruzioni di parte giudiziaria. Dubbi tanto maggiori quanto più quelle ricostruzioni sono, per così dire, salite di livello, passando dagli autori materiali ai loro mandanti.”
Nel corsivo, Orsina parla dei principali protagonisti giudiziari di Bologna: “In un libro uscito di recente in spagnolo e inglese ma non ancora in italiano, uno storico attento come Juan Avilés ha ritenuto provate le responsabilità di Fioravanti, Mambro e Ciavardini ,ma molto meno chiare quelle di Licio Gelli”
“In un documentatissimo volume del 2016-continua l’articolo- Vladimiro Satta è giunto a una conclusione sconfortata. L’esame dei procedimenti giudiziari contro Fioravanti, Mambro e Ciavardini nonché di quelli per depistaggio delle indagini mostra che la dichiarazione di colpevolezza dei tre neofascisti non è campata in aria come vorrebbero gli innocentisti ma, purtroppo, non è neppure molto convincente“.
Il politologo, docente universitario, continua il suo intervento riferendosi al discorso di ieri nel capoluogo emiliano: “Bolognesi non si è limitato a interpretare la storia, però. L’ha pure brandita come una clava per darla in testa a tutta la destra italiana degli ultimi trent’anni: da Berlusconi, corresponsabile della bomba del 2 agosto 1980 in quanto piduista, fino a Meloni, rea di voler introdurre una riforma della magistratura simile a quella sostenuta dal piano di rinascita democratica di Gelli”.
“La clava-si legge ancora- è la consueta lettura antifascista radicale della vicenda repubblicana. Intollerante, perché chi la sostiene ritiene di essere moralmente prima ancora che politicamente nel giusto e che la propria idea di costituzione e democrazia sia l’unica possibile”.
Una lettura, dice ancora Orsina, “Scopertamente politica, infine, poiché fissa il principio che la Repubblica possa essere legittimamente governata soltanto da sinistra, e che le destre siano quindi illegittime a prescindere“.
Nell’ultima parte del suo editoriale, Orsina cita indirettamente Pasolini, parlando dell’antifascismo odierno, e dà ragione a Giorgia Meloni, per la risposta a Bolognesi che aveva accusato l’attuale governo di poggiarsi sulle radici dello stragismo:
“Col suo estremismo, la sua faziosità-si legge-, e non di rado col suo spregio del buon senso e della verità storica, l’antifascismo radicale è stato ed è il peggior nemico dell’antifascismo quale strumento di ampia convergenza sui valori fondanti della Repubblica”.
Il finale è dedicato ai possibili condizionamenti culturali derivanti dall’antifascismo di Stato e le conseguenze sulle azioni giudiziarie.
“Poiché esso ha avuto un’influenza notevole anche sulla magistratura, per altro, bisognerebbe pure chiedersi quanto le sentenze sulle stragi, sui depistaggi, sui tentativi di colpo di Stato ne siano state condizionate, e quanto i dubbi su quelle sentenze nascano proprio dal vederle attraversate da linee ideologiche così evidenti.
Di fronte a un intervento scomposto come quello di Bolognesi, infatti, in quale altro modo avrebbe mai potuto replicare la Presidente del Consiglio?”, la chiosa del politologo.
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