Davide Ermini non lascia il Consiglio di amministrazione della holding di Aldo Spinelli, l’imprenditore arrestato insieme a Giovanni Toti ed accusato di avere elargito contributi all’ex governatore in cambio di favori per le concessioni portuali. L’ex parlamentare del Pd ed ex vicepresidente del Csm non rinuncia all’incarico ma abbandona la direzione nazionale del Pd.
E’ lo stesso Ermini a raccontare la decisione, che non cambia nulla in termini di opportunità. “Stamani durante una telefonata con il presidente del Pd Stefano Bonaccini gli ho manifestato il mio sincero stupore e la mia amarezza per le strumentalizzazioni che sono state fatte e che continuano sul mio ruolo nella direzione nazionale” scrive l’ex numero due di Palazzo dei Marescialli.
“Non avrei mai pensato che assumere un incarico professionale potesse suscitare imbarazzi, che risentono evidentemente della situazione e del clima a Genova e in Liguria. Per questo, poiché non voglio creare alcuna difficoltà al Pd ho riferito al Presidente Bonaccini che lascerò la Direzione Nazionale”, ha aggiunto Ermini, dimenticando che “l’incarico professionale” non riguarda un’azienda qualsiasi, ma il cardine principale di un’accusa che ha portato alle dimissioni anticipate di Giovanni Toti e all’indizione delle elezioni regionali.
Sulla questione era intervenuto in mattinata il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri. “La vicenda Ermini, con la designazione di un esponente di prima linea del PD alla guida delle società di Spinelli, altro protagonista di questa inchiesta, dimostra che in Italia, per alcuni, deve comandare solo la sinistra. Per via politica o per via giudiziaria, con le Procure o con i commissariamenti delle società private. Questo ci dice la vicenda ligure. Le elezioni di autunno saranno una battaglia di libertà, che dobbiamo affrontare contro la sinistra che si vuole appropriare delle imprese, contro le Procure che si vogliono appropriare della democrazia”.
La storia di Giulio Cesare e del tradimento di Pompea è nota: l’imperatore scoprì la moglie fedifraga e amante di Clodio chiedendo il divorzio ma non ne fece mai menzione pubblicamente proprio per salvaguardare l’istituzione che rappresentava e che non doveva essere sfiorata dal sospetto. Ermini, fino a pochi anni fa a capo dell’organo di autogoverno della magistratura e dirigente nazionale del Pd, entra nel Cda di una holding implicata in un terremoto giudiziario e nella fine politica di un avversario. L’opportunità sarebbe stata quella di rinunciare a far parte del Cda non di lasciare la direzione nazionale del partito. Anche perché questo non cambia certo l’appartenenza di Ermini e il suo legame con Largo Nazareno.
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