Il viaggio di Meloni in Cina ha avuto l’effetto di guarire l’amnesia selettiva che spesso coglie i leader dell’opposizione, ma di mostrarne un certo analfabetismo funzionale o, più probabilmente, la solita malafede. Sia Giuseppe Conte che Matteo Renzi, infatti, in queste ore hanno correttamente ricordato che Meloni si è sempre detta contraria alla Via della Seta e si è sempre spesa contro la concorrenza sleale di Pechino, aggiungendo però che con il viaggio a Pechino avrebbe compiuto una giravolta rispetto a quelle posizioni. Basta però leggere le dichiarazioni della premier e i contenuti della missione per capire che Meloni è rimasta ferma sulle sue posizioni e che, sulla base di quelle, ha riposizionato le relazioni tra i due Paesi su un nuovo equilibrio, che ha lo scopo di sanare le storture del passato targate proprio Renzi e ancor più Conte. Dunque, i due non hanno capito o fingono di non capire?
“Io capisco le difficoltà di Giuseppe Conte, perché aveva promesso che con l’ingresso dell’Italia nella Via della Seta si sarebbe riequilibrata la bilancia commerciale. La bilancia commerciale nel 2022, quando siamo arrivati noi, produceva un disavanzo per l’Italia di 41 miliardi di euro, quindi evidentemente non ha funzionato”, ha detto Meloni nel corso del un punto stampa in Cina, in cui i giornalisti le hanno chiesto un commento sulle accuse mosse da Conte dopo il suo incontro con Xi Jinping
“Ricordate quando Giorgia Meloni, sostenuta da un ardimentoso manipolo di ministri, esponenti di partito e commentatori varii, si scagliò contro il Memorandum d’intesa con la Cina approvato dal Governo Conte I? Ebbene, oggi Giorgia Meloni è in Cina a bussare al Presidente Xi Jinping implorando Pechino di investire in Italia, per rilanciare un partenariato strategico ed egualitario e riequilibrare la bilancia commerciale tra i nostri due Paesi. Guarda caso tutti questi obiettivi erano puntualmente contemplati nel Memorandum del 2019”, ha scritto Giuseppe Conte su Facebook.
Conte, quindi, rivendicando i favolosi risultati della sua intesa, si è scagliato contro “i giornali compiacenti con governo”, che hanno dato ampio risalto ai risultati del viaggio, e ha sostenuto che “oppressa da cieco fanatismo ideologico e dall’ansia di compiacere Washington, Meloni, sul finire del 2023, aveva compromesso bruscamente le relazioni commerciali con la Cina, cestinando l’imponente lavoro svolto dal mio primo Governo”. Quindi, l’immancabile accusa secondo cui “la coerenza, lo sappiamo, non è il suo forte” e questo minerebbe “la credibilità che il nostro Paese ha conquistato con il lavoro di anni. Siamo sicuri che, con tutte queste giravolte, Giorgia Meloni riesca a tutelare efficacemente i nostri interessi nazionali?”, si è chiesto quindi Conte.
“Io ho sempre detto che non ero d’accordo con la Via della Seta, che l’Italia secondo me avrebbe dovuto uscire dalla Via della Seta e che questo non avrebbe compromesso i rapporti con la Cina. Non so dove stia la giravolta perché quello che ho dimostrato ancora una volta è che si possono fare le cose seriamente e con coerenza”, ha detto ancora Meloni, a chi le chiedeva una replica a Conte.
Quanto a Matteo Renzi per sostenere la tesi del “cambio di posizione” ha postato su X un post di Meloni del 2014, ovvero di quando il presidente del consiglio era lui: “Visto che Renzi è amico della Cina chieda conto della concorrenza sleale che le imprese cinesi fanno al nostro made in Italy”, erano state le parole di Meloni, che secondo Renzi sarebbero invecchiate male. In realtà, proprio quelle parole dimostrano la coerenza della posizione presentata ieri a Xi Jinping: il tema di un rapporto tra i due Paesi “più equilibrato”, “leale” e “soprattutto che rimanga stabile il sistema di regole nel quale ci muoviamo” è stato di fatto il perno di tutti i colloqui.
Il Piano d’azione in tre anni siglato da Italia e Cina a Pechino infatti “è un approccio alternativo alla Via della Seta”, ha chiarito a più riprese Meloni, sottolineando che gli obiettivi principali del governo sono “rafforzare la nostra cooperazione ma farlo in un’ottica di riequilibrio, riequilibrio della bilancia commerciale, c’è un importante disavanzo per l’Italia che è andato crescendo negli anni, e in tema di investimenti esteri diretti. Oggi gli investimenti italiani in Cina sono circa tre volte tanto quelli cinesi in Italia. Noi vogliamo chiaramente lavorare per rimuovere gli ostacoli relativi alla possibilità dei nostri prodotti di accedere al mercato cinese e chiaramente garantire parità di trattamento per le nostre imprese. C’è da questo punto di vista – ha concluso – ampia convergenza e disponibilità”.
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